«Oggi sono libero perché mi sono dichiarato colpevole di giornalismo», ha detto in estate Julian Assange a Strasburgo. Sono trascorsi sei mesi dalla sua liberazione, avvenuta in seguito al patteggiamento con le autorità americane, ma sul cofondatore di WikiLeaks grava una condanna a 5 anni di carcere (in pratica già scontata nel quinquennio di detenzione in isolamento) che ha macchiato la sua fedina penale, sottoponendolo a restrizioni lavorative e di viaggio, il prezzo della sua libertà. È una pena che implica un pericoloso antecedente in giurisprudenza rispetto alla libertà di stampa e di parola, soprattutto nei confronti del giornalismo investigativo, in quanto i giudici del procedimento hanno stabilito che sia criminale «ogni aspetto del comunicare con una fonte, dal possedere informazioni riservate al pubblicarle».
Perciò The Assange Campaign ha lanciato una petizione #PardonAssange – attiva anche nel nostro Paese – per chiedere al presidente americano Biden (in carica ancora per 10 giorni) di concedere la grazia al giornalista australiano. L’idea è venuta a suo fratello, Gabriel Shipton, durante un viaggio negli Usa. A Washington ha incontrato numerosi sostenitori al Congresso in quanto la lotta per liberarlo è stata trasversale, coinvolgendo opposte parti politiche.
Tutto ciò fino a che due membri del Congresso, James McGovern democratico e Thomas Massie repubblicano, hanno redatto una lettera congiunta al presidente degli Stati Uniti, chiedendogli la grazia e aprendo un sito internet con più domini, rivolto ad altri Paesi oltre all’America e all’Australia, per una petizione pubblica aperta a tutti che ha raccolto oltre 30mila firme. A breve però si profila l’insediamento di Trump, previsto per il 20 gennaio.
Visto il gran numero di clemenze di Biden, la campagna per Assange ha fiducia in una sua riuscita. «Prima della sentenza di chiusura del processo, la risposta dell’amministrazione americana è sempre stata quella del non volere interferire con il dipartimento di Giustizia. Ora che il processo è terminato, dipende tutto da Biden: può schierarsi a favore della libertà di stampa o contro di essa», ha sottolineato Gabriel Shipton, promotore della campagna.
«Julian è libero, ma la giustizia attende. Unisciti a noi e chiedi la grazia oggi stesso» si esordisce nella petizione. «Il 26 giugno 2024, Assange è diventato il primo editore a essere condannato ai sensi dell’Espionage Act degli Stati Uniti per aver denunciato i crimini di guerra dell’esercito americano. Julian potrebbe ora essere libero, ma questa campagna non è mai stata solo per lui. Questa condanna, la prima del suo genere, stabilisce un precedente pericoloso che minaccia la libertà di stampa a livello globale e mette a rischio la sicurezza dei giornalisti che denunciano le malefatte del governo, proprio le cose per cui Julian ha rischiato la vita».
«Sappiamo che il presidente Biden è guidato dal suo impegno verso i valori della Repubblica americana – prosegue il documento – Abbiamo una finestra ristretta per sostenere la giustizia. Concedendo la grazia, il presidente può non solo correggere una grave ingiustizia, ma anche inviare un messaggio forte: può riaffermare la dedizione dell’America alla verità e al Primo Emendamento».
In Italia, intanto, gli attivisti di FreeAssangeRoma, rimarcano che il 23 dicembre scorso il presidente Biden ha commutato le condanne a morte di 37 prigionieri federali, segnalando così al Congresso e ai singoli Stati degli Usa la necessità di eliminare questo flagello. «Ha difeso la vita con coraggio e sarà ricordato per questo», afferma Patrick Boylan, portavoce degli attivisti e autore del libro Free Assange edito da Left. «E se grazierà Julian Assange, sarà ricordato anche come chi ha difeso con coraggio la libertà di parola e la libertà di stampa». #PardonAssange mr. president Biden!
Foto di FreeAssangeItalia