La storia di una madre che ha venduto il rene per far curare i figli e di altre persone schiacciate dalla povertà e dalla malattia in un Paese in ginocchio. Il racconto di Nancy Porsia, coautrice del reportage oggi in programma ne "Il fattore umano" (Rai Tre e Rai Play)

Nell’ambito del format Il fattore umano oggi su Rai tre (23.15) e poi su Raiplay viene trasmesso il reportage Vite a perdere. Ecco il racconto di Nancy Porsia coautrice con Mario Poeta.

È sera e Hussein rincasa dopo una lunga giornata di lavoro a Sadr City, quartiere sciita alla periferia di Baghdad. La stradina davanti a casa è buia, i lampioni fuori uso. È stremato dopo aver passato la mattina nella azienda della Coca Cola di Baghdad ad imballare colli di lattine e bottiglie pronti per essere spediti in giro per il paese, e dopo una breve pausa, altre cinque ore nel traffico sfiancante di Baghdad alla guida del suo minivan a raccattare passeggeri per la città.

Hussein era in un caffè con degli amici qualche mese fa quando al tavolo accanto due ragazzi discutevano della possibilità di vendersi un rene per guadagnare migliaia di euro in un colpo solo. Da quel giorno per Hussein la soluzione a tutti i suoi problemi è vendersi un rene. Orfano di padre dall’età di due anni, unico figlio maschio, ha iniziato a lavorare sin da bambino per garantire alle sue tre sorelle una vita minimamente dignitosa.

«Oggi le mie sorelle sono sposate, e quindi ho meno spese» dice Hussein ma con i due lavori insieme ogni mese continua a fare fatica a pagare l’affitto della casa dove vive con sua madre. Con quei ventimila euro di cui ha sentito parlare al caffè qualche mese fa riuscirebbe a comprarsi un posto di lavoro governativo che gli garantirebbe la stabilità necessaria per potersi sposare garantendo insieme a sua madre e la sua futura moglie una vita dignitosa. Nonostante la stanchezza, si infila gli shorts e le scarpette da calcio per giocare a pallone con i suoi amici. «È uno dei pochi momenti di relax che mi concedo» dice mentre si chiude dietro di sé il portellone del minivan davanti ad uno dei tanti campi di calcio di Sadr City.

Um Yousef invece ha già venduto il suo rene due anni fa. Madre di due bambini malati, divorziata, rischiava di finire per strada. «Un giorno stavo cercando tra le pagine social informazioni sui centri di autismo per mio figlio malato quando il mio feed social mi ha mostrato un annuncio sulla vendita di reni come occasione di guadagno immediato», racconta la donna che ha circa trent’anni. Um Yousef ci ha pensato per settimane, poi si è messa alla ricerca di un broker. Per giorni i numeri trovati online o passati da conoscenti risultavano già staccati. Un giorno qualcuno le ha risposto dall’altra parte del telefono, e le ha offerto circa ventimila dollari. Qualche giorno dopo un uomo sulla cinquantina la aspettava al Medical City Center di Baghdad dove avrebbe dovuto effettuate esami necessari, e un mese dopo in sala operatoria, sempre nell’ospedale governativo che si affaccia sul fiume Tigri. «Ho solo chiesto all’uomo di garantire il pagamento anche in caso io fossi morta. Ho pensato: anche se muoio, i miei figli avranno di che mangiare e un tetto sulla testa» dice mentre i suoi occhi si riempiono di lacrime. Come pattuito, appena il rene le è stato espiantato, il broker ha consegnato i soldi in una valigetta a sua madre che era in sala d’attesa. «Quell’uomo ha aspettato che mi svegliassi per accertarsi che stessi bene. Una brava persona» continua Um Yousef, dimessa poche ore dopo l’asportazione del suo rene senza alcuna prescrizione medica ma solo il consiglio di assumere degli antidolorifici.

Guerre che si susseguono una dopo l’altra, l’invasione americana e la caduta di Saddam Hussein, la faida tra sciiti e sunniti, lo Stato Islamico e la guerra per debellarlo: venti anni di bombe, conflitti armati e attentati hanno prodotto oltre due milioni di iracheni rifugiati all’estero, e altrettanti sfollati interni. La corruzione ai vertici dei governi che si sono succeduti ed il moltiplicarsi di milizie settarie che nel frattempo hanno conquistato il pieno controllo del territorio hanno fatto sprofondare il paese in uno stato di povertà estrema: la disoccupazione tra i giovani è circa al 25,6% e il 23% della popolazione spende meno di 2,2 dollari al giorno. In un presente complicato da vivere con un futuro difficile da immaginare, i traffici illeciti oggi in Iraq sono l’unico ammortizzatore sociale per un paese in piena economia di guerra. I corpi di queste migliaia di disperati, anzi pezzi dei loro corpi, rappresentano per i professionisti del business una ottima opportunità di guadagno considerando che la disparità tra disponibilità di organi e numero di pazienti nelle liste di attesa si va ampliando a livello globale, soprattutto in Iraq.

«Ora però i soldi sono finiti» dice Um Yousef mentre chiede una pausa per recuperare energie. E così che poco più che trentenne, si trova senza un rene ma anche senza la forza fisica per prendersi cura dei bambini o di lavorare. «Lo rifarei – dice con convinzione la donna – perché per oltre un anno sono riuscita a garantire a mio figlio la terapia di cui necessita in un centro specializzato. E io per i miei figli darei la vita».

Hussein sa bene che con un rene solo dovrebbe rinunciare alle sue partite di calcio: «Non mi importa, perché se riesco a sposarmi sarò contento di passare il mio tempo libero in casa con i miei figli». Tra le pagine social scorre le decine di annunci di broker alla ricerca di organi: chiama uno dei numeri di telefono tra gli annunci. Dall’altra parte del telefono un uomo gli dice: «Per il tuo rene potrei pagargli massimo diciotto mila euro, non di più perché per arrivare a ventimila dollari sarebbe stata necessaria la firma di suo padre, che però non c’è più». Il broker al telefono dice che il trapianto verrebbe effettuato ad Erbil, in Kurdistan.

In Iraq tra i tanti arabi che decidono di vendere il proprio rene molti vengono dirottati dai broker verso le cliniche in Kurdistan, tra Erbil e Sulemanya. Qui la burocrazia è più snella rispetto agli uffici governativi d Baghdad, e quindi per i broker che seguono le pratiche per conto dei loro clienti, il Kurdistan è una piazza migliore. Ovviamente sulla carta questa compravendita è una donazione a titolo gratuito.

A Sulemaniya, la seconda città più grande del Kurdistan, Farhad porta avanti la sua battaglia per la realizzazione di un ospedale specializzato sui trapianti salvavita, da quando sua sorella malata di talassemia è morta per via della mancanza di donatori di sangue. Attraverso la sua associazione Kurdistan Body Donors Organization (KBDO) promuove campagne di sensibilizzazione sulla donazione provando a togliere terreno ai trafficanti di organi. Lo vediamo nello stanzone del centro di dialisi mentre ascolta le voci dei malati renali cronici sottoposti al trattamento. Tra le persone in cura al centro, c’è un peshmerga del Patriotic tnion of Kurdistan (Puk) a cui un anno fa è stata diagnostica un’insufficienza renale cronica, e da allora è costretto a sottoporsi al trattamento di dialisi due volte a settimana. «Io comprerei un rene anche domani. Ma i broker chiedono circa 45 mila dollari, e io questi soldi non ce li ho» dice l’uomo, che alla fine ci ringrazia per raccontare questa brutta storia fatta di malattia e povertà.

L’autrice: Nancy Porsia è una giornalista freelance e producer esperta di Medio Oriente e Nord Africa. Tra i suoi libri “Mal di Libia” (Bompiani)

Il fattore umano

Il fattore umano per questo terzo appuntamento della stagione ci porta in Iraq con Vite a perdere di Nany Porsia e Mario Poeta. Il programma, che monitora il rispetto dei diritti umani nel mondo, è un format di Raffaella Pusceddu e Luigi Montebello, regia di Luigi Montebello, musiche originali di Filippo Manni e Massimo Perin.

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