Già solo il primo mese dell’anno porta notizie preoccupanti, in generale e per la scuola, di conseguenza per la società che si sta costruendo. La prima novità riguarda i programmi su cui il ministro ha deciso di intervenire. Aveva annunciato l’istituzione di una commissione per rivedere le linee guida nelle superiori, in particolare per le discipline umanistiche (le tanto trascurate discipline umanistiche, su cui però si sta giocando la battaglia culturale, nell’indifferenza indotta dall’abbaglio Stem).
Così, durante l’autunno, la destra ha fatto capire di voler intervenire sull’insegnamento della storia, per cambiare la narrazione del Paese, dal libro di Italo Bocchino all’idea ministeriale (e di Galli Della Loggia) di “insegnare l’Italia”, nella totale chiusura su una presunta identità monolitica e nazionalistica, quando invece la scuola dovrebbe avvicinare alla complessità culturale nella sua varietà.
L’insistenza sulle radici occidentali (leggi cristiane), sul Risorgimento (da glorificare, non esplorare criticamente) sono scelte negative. Il ministro vuole che i ragazzi conoscano meglio il secondo Novecento. Cosa buona, di per sé. Ma il suo incarico si è aperto con una velina il 9 novembre 2022, per demonizzare socialismo e comunismo, fatti coincidere tout court con il mondo sovietico, in modo mal intenzionato o incompetente, e questo la dice lunga sulle effettive intenzioni del governo.
Anche alle scuole medie si vuole andare nella stessa direzione – fare storia d’Italia – e rimuovere la geostoria, forse non ben sviluppata nel concreto, ma attuale nel panorama degli studi e della didattica in Europa, soprattutto – se fatta con serietà – perché fornisce strumenti utili per aiutare i ragazzi a sviluppare uno sguardo sulla globalità delle esperienze umane, valorizzando la connessione fra eventi e contesto (ambientale, demografico ed economico, si pensi agli splendidi volumi di Jared Diamond).
Storia d’Italia, Storia d’Italia…. ma come far capire ai ragazzi le reali dinamiche, anche solo dei fatti di casa nostra, senza spiegare bene quelli avvenuti fuori? Alla fine li si dovrà menzionare e basta, riducendo così le spiegazioni a elenchi di fatti e glorificazioni nazionali. Se non faccio capire i nessi nella loro profondità, ciò che resta è solo una narrazione, che ognuno può costruire coi suoi scopi (in questo caso non tanto taciuti, nell’esaltazione di tradizione e nazione).
Si parla, in second’ordine, anche di storia dell’Occidente, ma vale lo stesso discorso: non si riconosce importanza e validità alle altre esperienze, realtà interessanti e ricche, e con cui oggi in ogni caso ci si deve confrontare alla pari, abbandonando pretese di superiorità ormai fuori tempo massimo. E per confrontarci nel modo migliore dobbiamo conoscerle. Poi, “storia occidentale” è una scelta terminologica marcata in senso ideologico, alimenta la contrapposizione e la convinzione di dover preservare dei valori. Anche solo come etichetta, iniziamo a parlare di storia d’Europa, concetto ben diverso e da mettere al centro contro ogni nazionalismo. Implica apertura, pluralità e incontro, perché il concetto di Europa che dobbiamo perseguire è quello erasmiano, osteggiato infatti dai vari nazionalismi otto-novecenteschi (si veda C. Ossola, Érasme et l’Europe, Paris, Ed. Le félin, 2014, tradotto in italiano per Vita e Pensiero, nel 2015); un’Europa tesa alla pace, al dialogo, all’assenza di confini – reali ma soprattutto culturali -, che trova il suo fondamento nell’antidogmatismo, nella consapevolezza della natura relativa di ogni esperienza umana, e dunque chiede tolleranza vera per ogni idea o fede, proprio come Erasmo, ricettivo rispetto alle novità portate dall’incontro con gli altri nel periodo delle esplorazioni geografiche, Erasmo che sfidò i tempi e guardò alla Bibbia come un testo storico da studiare e anche correggere.
Ma il nostro ministro cosa vuole fare? Introdurre nelle scuole, come percorso strutturato, lo studio della Bibbia. Talmud e Corano dove li mettiamo? E i testi vedici, zen etc? E se uno fosse agnostico, come il sottoscritto? Chi è al governo si affretta a criticare l’Islam e le scuole coraniche, accampando pretese di laicità, quando è solo becera islamofobia. La scuola pubblica non deve trasformare i ragazzi in ciò che piace ad una parte politica, culturale o religiosa. La scuola deve aiutare ciascun ragazzo ad assumere il ruolo di cittadino, ognuno nel modo in cui vorrà declinarlo, e con le sue personali opinioni. Compito del ministero è solo mettere le scuole nella condizione di trasmettere strumenti e conoscenze per compiere questo percorso con consapevolezza e spirito critico. Portare fra i banchi una sorta di catechismo è l’esatto contrario di tutto ciò.
La Bibbia è una parte importantissima della cultura occidentale, come oggetto storico-culturale, su cui purtroppo le conoscenze dei giovani si stanno sempre più riducendo, come in mille altri ambiti. Ma l’intenzione del governo non asseconda questa esigenza, pensa invece di imporre con la Bibbia idee e i valori della tradizione, per uniformare il Paese.
Il punto è che si dovrebbe superare l’insegnamento della religione cattolica (Irc) come materia, residuo di un passato confessionale. Non era giusto neanche prima, ma data la situazione demografica non destava particolari problemi. Le cose però cambiano col tempo – per fortuna -, e il progressismo è proprio la capacità di riconoscere e vivere ciò, esplorare l’evoluzione per comprenderla e guidarla, ma certo non arrestarla. Qui invece siamo davanti ad atteggiamenti conservatori-reazionari, una insensata pretesa di immobilismo, o regressione.
Molti docenti svolgono un ottimo lavoro, con apertura e pluralità. Ma il sistema di base non va bene, ai professori non deve essere richiesto più il certificato di idoneità diocesana. Alla nostra scuola serve l’ora di storia delle religioni, con impianto antropologico, in modo da favorire per sistema un atteggiamento interculturale.
Ma cosa aspettarsi se in una legge di bilancio segnata da ristrettezze sono comunque riusciti a trovare i fondi per un voucher che favorisce le iscrizioni nelle scuole paritarie. Beninteso, sono una realtà importante, in vari casi svolgono bene il loro lavoro, e offrono un servizio a quelle famiglie che hanno necessità particolari con gli orari di lavoro (lo so bene in prima persona, da figlio). Ma l’insieme di tutti gli elementi porta a dire che il governo non è attento in realtà a questi aspetti, che non richiederebbero un finanziamento, specie in un momento di difficoltà finanziarie. Lo Stato si deve occupare della scuola statale, e creare condizioni perché altre realtà possano operare ma nulla più. Ma la verità è che le scuole paritarie – cioè religiose – sono un espediente come gli altri per inculcare la loro morale, contro laicità e parità di genere (si veda l’educazione alla sessualità sostituita sempre in manovra da lezioni su come contrastare l’infertilità).
Si parla anche di riportare il latino nella secondaria di primo grado. Su questo in realtà non ci sono problemi, può anche aver senso, se fatto nel modo giusto, per dare un minimo di consapevolezza a tutti su una componente culturale importante. Ma va anche detto che se vogliamo implementare le lingue, sarebbe ora di aprire la scuola anche in questo settore al panorama degli idiomi extra-europei (cinese, arabo, giapponese, etc.), sia per utilità che per curiosità umana. Ma anche qui, sembra più che altro un modo per decantare le glorie patrie, in realtà non ben conosciute oltretutto.
Per venire al concreto, investimenti e fondi rimangono inadeguati, nonostante la retorica che amplifica aumenti dello 0,%. Verranno ridotte le cattedre disponibili, senza licenziamenti certo per chi di ruolo, ma con chiare ripercussioni sul medio-lungo termine.
Si va verso dimensionamenti consistenti, che creeranno maxi-agglomerati di studenti e docenti, non più luoghi di dialogo e conoscenza ma enti funzionali alle filiere produttive tanto care al ministro, impersonali proprio per i numeri (non che oggi la situazione sia rosea).
L’aziendalismo passa per un’indiscriminata promozione del 4+2, che finirà per essere solo 4, immettendo troppo presto i giovani negli ingranaggi lavorativi, come tra l’altro l’invadente e discutibile presenza dell’alternanza scuola-lavoro (oggi Pcto), che ostacola lo svolgimento della didattica.
Il passaggio nominale da preside e dirigente era già abbastanza significativo. E da lì la tendenza quotidiana a pensare meno alla reale didattica, e più a a bandi, fondi, progetti che portino soldi alla scuola, e di conseguenza prestigio al dirigente, senza chiedersi se questo accumulo di attività sia veramente utile ai ragazzi, che perdono i nuclei veri dell’insegnamento, incontro e riflessione. Tanta tecnologia, informatica – come se l’invasione dell’IA non fosse già forte di suo fra i ragazzi – ma poi si danno solo competenze, skills con cui eseguire operazioni in serie, mettendo in crisi la capacità di esercitare spirito critico. E ora, i dirigenti saranno sottoposti ad un sistema di valutazione, da cui dipenderà il loro stipendio, sulla base del “raggiungimento degli obbiettivi”…
Nuovi accordi fra università e ministero dell’Interno (previsti nel decreto sicurezza ndr) chiedono ai docenti di collaborare con i servizi segreti, rimanendo sul vago in modo preoccupante dato che la proposta di legge dice che le istituzioni universitarie dovranno agire «anche in deroga alle normative di settore in materia di riservatezza», quasi si volesse chiedere ai professori di diventare delatori – come la Roccella con i medici –, segnalare studenti o colleghi che esprimono opinioni sgradite. E ancora, la riforma ventilata (sempre da Galli Della Loggia) per riportare gli atenei sotto il controllo governativo centrale: si tratterebbe di un’ennesima riforma costituzionale, anche se non lo ammettono, e ricordiamo che l’autogoverno accademico stabilito dall’art. 31 voleva sancire la rottura col passato fascista, di controllo e manipolazione della cultura
La guerra imperversa, e la scuola stipula protocolli d’intesa con il ministero dell’Interno e l’Esercito, promuove gite in basi militari (già capitavano, ma una linea guida è cosa diversa); proliferano attività per far familiarizzare i ragazzi con l’addestramento e la vita militare. Si dice per far conoscere le nostre forze dell’ordine e il loro valore. Ma si tratta anche in questo caso di una delle filiere produttive tanto care a Valditara, oggi una delle più redditizie (tristemente, aggiungo io). Il tutto in barba ad uno degli articoli fondamentali della nostra carta.
In realtà, vorrei un governo che guarda alla scuola nella sua funzione costituzionale, cioè antifascista, seguendo lo sguardo verso il futuro consegnato dalla carta fondamentale. Ma sappiamo che sono allergici a questo valore, negato da tutti i propositi di inizio 2025. La mano dura su chi esprime il dissenso anche nelle scuole è preoccupante. Intimidazioni a intellettuali e professori sono segnali di deriva autoritaria. E poi, dov’è la stessa mano dura di Valditara e Meloni quando un professore è vittima di un’aggressione perché davanti ad alcuni ragazzi si dichiara antifascista e cerca di spiegare che il ventennio fu una cosa atroce? È successo, nel bresciano, ad un collega che presto intervisterò, per dare viva voce ad una vicenda grave che non ha ricevuto particolare attenzione da parte delle istituzioni e dei media.
Insomma, l’anno non promette proprio bene. I propositi del governo… beh, speriamo non si realizzino. Il mio è che il mondo dell’istruzione nel suo insieme viva un anno di sereno e pacifico dissenso, punto su punto, nelle sedi istituzionali e nella quotidianità di classi e aule, per far sì che dialogo e varietà culturale siano valori; perché la cultura, la storia e la letteratura siano occasioni di crescita e non di propaganda; perché la scuola sia luogo di formazione di persone e cittadini, non di attori aziendale.
Chissà che il nuovo anno non porti sorprese, mai dire mai…
L’autore: Matteo Cazzato è dottore in filologia, ricercatore e insegnante
Nella foto il ministro Giuseppe Valditara (Unione europea) 28 novembre 2022