Non basta avere una buona legge, serve un cambio culturale e di prospettiva per realizzare un modello non discriminatorio di inclusione per le persone con disabilità in cerca di occupazione

L’accesso dei disabili al mercato del lavoro, in Italia, è strutturalmente insufficiente. Lo dimostrano plasticamente i dati della Xl relazione sullo stato di attuazione della Legge 12 marzo 1999 n.68, “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”, redatta dal Ministero del Lavoro in collaborazione con l’Inapp, l’Istituto Nazionale per le Analisi delle Politiche Pubbliche.
Le conclusioni della relazione sono sintetizzate da Franco Deriu, responsabile della Struttura inclusione sociale dell’ Inapp, unità dell’ Istituto dedicata all’analisi delle varie forme di povertà e delle misure per contrastarla, come pure allo studio delle politiche e delle azioni indirizzate a garantire l’inclusione sociale e lavorativa delle persone con disabilità: «Il quadro delineato dalla Xl Relazione al Parlamento – spiega Deriu – mostra che l’ impianto della legge sul collocamento mirato è riuscito a sopportare gli effetti della crisi economica e occupazionale determinata dalla pandemia. Ma ha anche evidenziato i limiti di un sistema che può contare su una ottima normativa, ma non è ancora in grado di determinare quel cambio culturale e di prospettiva necessario ad assicurare un effettivo modello non discriminatorio di inclusione per le persone con disabilità in cerca di occupazione».
La relazione presenta, in particolare, i dati degli anni 2020 e 2021, «il periodo centrale della pandemia da Covid-19 – ricorda l’ Inapp – nel quale si sono manifestati con maggiore forza gli effetti sociali, economici e occupazionali della crisi sanitaria che ha interessato tutto il mondo».
«Nel 2020 le persone con disabilità iscritte agli elenchi competenti per il collocamento mirato risultavano 794.937, diminuite a 774.507 nel 2021. Le iscrizioni nel corso dell’anno attestano il condizionamento dovuto alla fase pandemica, con le nuove iscrizioni nel 2020 che non superano le 53mila registrazioni (oltre il 40% inferiori all’ annualità precedente), per poi crescere nuovamente nel 2021 a 85mila.
Complessivamente gli avviamenti al lavoro totali, comprensivi dei comparti pubblico e privato in Italia, comunicati dai servizi competenti per il collocamento mirato, ammontano a meno di 30mila nel 2020 e raggiungono i 37mila nell’ anno successivo.
Per quanto riguarda le assunzioni, nel biennio di riferimento interessato dalla pandemia, si evidenzia una diminuzione con numeri che riguardano oltre 32mila assunzioni complessive nel 2020 e 41mila nel 2021. Valori che si discostano significativamente dalla performance del collocamento mirato nel 2019, che riportava oltre 58mila assunzioni tra settore pubblico e privato». Da notare che gli avviamenti al lavoro sono sempre inferiori alle assunzioni, perché non tutte vanno a buon fine dopo il periodo di prova. Ed è impossibile nascondere la nostra costernazione in merito al dati che riguarda le strutture pubbliche, con ben 34.118 scoperture.
«Di fronte alle mancate coperture, evidenti specie nel settore pubblico -ci spiega l’onorevole Giovanni Battafarano – che fu relatore nel 1999 della legge 68 al Senato, occorre dare vita a iniziative diffuse e largamente condivise per sollecitare amministrazioni e aziende inadempienti a procedere alle assunzioni anche attraverso una forte spinta di sensibilizzazione culturale».
È necessario inoltre, esercitare una pressione sul ministero del Lavoro affinché vigili sull’attuazione della norma, in particolare modo nel settore pubblico, che elimini il più possibile ogni forma di deroga e metta in campo ogni strumento in suo possesso, magari inplementandolo anche con nuove strategie, che portino al pieno rispetto della legge.
Non si possono consentire né leggi né persone di serie B.
Da evidenziare inoltre, nella sintesi dell’Inapp, anche il numero di risoluzioni dei rapporti di lavoro tra datore e dipendente. Nel settore privato, si sono registrati 23.473 casi nel 2020 e 26.439 nell’ anno seguente, con la causa prevalente nella cessazione del termine nei contratti a tempo determinato (circa il 30%).
Dunque, si può osservare come il mercato del lavoro mostri tre grandi limiti nel rapporto con i disabili: il primo è l’accesso vero e proprio; il secondo, la stabilità e conseguentemente, il terzo, ovvero la qualità del lavoro stesso e quindi, della vita e della dignità per il cittadino-lavoratore portatore di disabilità.
Questo va messo in evidenza, a onta dello spirito della stessa legge 68, obiettivo della quale è la promozione dell’ inserimento e dell’integrazione lavorativa delle persone disabili, al fine di garantire loro il diritto al lavoro attraverso servizi di sostegno e collocamento mirato.
Le cose non stanno andando così. Perlomeno, non come dovrebbero. Avere un buona normativa non basta. Non interessa la bellezza, sebbene oggettiva, del contenitore, ma quella del contenuto, che nel caso specifico di questa legge, è fatto di migliaia di donne e uomini, che con la mancata applicazione della stessa, vedono naufragare la possibilità di una prospettiva di vita dignitosa e libera, come tra l’altro, previsto e sottolineato anche dalla nostra Carta Costituzionale.
È amaro dover ammettere, che dopo 25 anni dalla nascita della legge, la strada dell’inclusione lavorativa per le persone con disabilità, è ancora lunga ed in salita.

 

gli autori *Cesare Damiano, Presidente Associazione Lavoro&Welfare, www.cesaredamiano.org
**Nina Daita, esperta in politiche sulla disabilità