Stiamo assistendo all’applicazione, nelle metropoli, di provvedimenti ministeriali, prefettizi, di polizia, tesi, in nome della presunta “sicurezza pubblica”, contro l’accesso, in alcune predeterminate zone, di soggetti ritenuti “pericolosi”. Parlo di “zone a vigilanza rafforzata”, aree delle città in cui alle forze di polizia e militari è permesso di allontanare coattivamente chiunque assuma «atteggiamenti aggressivi, minacciosi o insistentemente molesti», come recita la circolare ministeriale. Condivido il parere di Alessandra Algostino che scrive di «ostracismo sociale e politico dalla città neoliberista». In realtà questi provvedimenti rappresentano il prologo e l’applicazione anticipata del disegno di legge sulla cosiddetta “sicurezza pubblica” che è ancora in discussione al Senato della Repubblica. Si tratta, quindi, di provvedimenti amministrativi che, però, incidono profondamente sui diritti costituzionali di mobilità e di accesso in alcuni spazi urbani, anche in assenza di flagranza di reato. Viene, infatti, con essi esteso al diritto di accesso in alcune zone cittadine a persone che risultano apparentemente “pericolose” o denunciate e condannate, anche con sentenza non definitiva. Sono provvedimenti incostituzionali.
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Le zone nere del diritto
In alcune aree delle città “a vigilanza rafforzata” le forze dell’ordine possono fermare l’accesso a soggetti ritenuti “pericolosi” anche in assenza di flagranza di reato. Sono provvedimenti incostituzionali. E alimentano il regime della paura