La filosofia di Bruno è la squilla della libertà: non ci può essere libertà senza il prerequisito della laicità, base di ogni patto democratico di civile convivenza democratica.
Come ogni 17 febbraio in Campo de’ Fiori a Roma rendiamo onore al Nolano, perché la memoria di quel rogo sia fiamma contro l’oscurantismo
Giordano Bruno, 425 anni fa, dopo lunghi anni di carcere e sofferenze (fu sottoposto anche a tortura almeno due volte: a maggio del 1597 e a settembre del 1599), a piedi scalzi e con la lingua stretta nella mordacchia, veniva condotto dal carcere del Sant’Uffizio a piazza Campo de’Fiori per essere bruciato vivo. Era l’alba del 17 febbraio del 1600, e la Chiesa cattolica, che aveva voluto quella morte atroce, celebrava in quell’anno il suo Giubileo.
Il Santo tribunale dell’Inquisizione Romana, presieduto personalmente dal papa, l’aveva condannato al rogo perché «eretico, impenitente, pertinace» ed anche i suoi scritti, posti all’indice dei libri proibiti, venivano dati alle fiamme.
Sono gli anni in cui la Chiesa, attraverso la sua macchina inquisitoriale, che si alimentava della delazione e del sospetto indotto, del terrore del rogo e di torture a volte anche più crudeli della morte, sferrava uno dei più pesanti attacchi repressivi contro quanti osassero pensare con la propria testa e rivendicassero il diritto di scegliere visioni del mondo e comportamenti di vita non omogenei e funzionali alle sue opinioni.
Bruno non può non scontrarsi col potere dominante perché si assume il “fastidio” di pensare.
E fastidito si era definito nella sua commedia, Candelaio. Un unico termine, fastidito, che diviene monogramma esistenziale di chi non subisce il mondo, ma vive nel mondo e incide nel mondo. Senza il dubbio (demone) del fastidio contro il conforme e il fideistico, Bruno non avrebbe potuto maturare la sua rivoluzionaria filosofia. Una filosofia che ha fatto paura e che fa paura ancora a molti per la sua attualità straordinaria. Un pensiero che costringe a fare i conti con le proprie piccolezze e ristrettezze mentali. Perché non ammette zone grigie. Perché è un atto d’accusa contro l’opportunismo, la pavidità, la rassegnazione, che producono – scrive Bruno – il «servilismo che è corruzione contraria alla libertà e dignità umana». La sua filosofia fa paura perché è una condanna inappellabile per chi vorrebbe l’umanità eterna minore: “gregge” “asino” “pulcino” “pulledro” (sono i termini che usa Bruno). In uno stato di perenne minorità. Incapace di intendere e di volere. Bisognosa quindi di padrini, padri protettori, padreterni. Tanto più pericolosi quanto più assoluti. Un’umanità in ginocchio nella speranza del miracolo e delle intercessioni degli unti del signore, che nelle simoniache alleanze sguazzano.
Bruno mette a nudo i meccanismi psicologici e consolatori, che riducono gli uomini ad asini obbedienti che si fanno «guidare – scrive – con la lanterna della fede, cattivando [imprigionando] l’intelletto a colui che gli monta sopra et, a sua bella posta, l’addrizza e guida».
Giordano Bruno è un intellettuale scomodo perché condanna la menzogna, l’ipocrisia, l’ignoranza. Soprattutto se a praticarla sono i così detti “dotti”. «La sapienza e la giustizia iniziarono a lasciare la terra – scrive – dal momento che i dotti, organizzati in consorterie, cominciarono ad usare il loro sapere a scopo di guadagno. Da questo ne derivò che … gli Stati, i regni e gli imperi sono sconvolti, rovinati, banditi assieme ai saggi …e ai popoli».
In un contesto storico come quello attuale, dove il senso della ragionevolezza sembrerebbe smarrito nella ripresa del fideismo religioso che si fa anche terrorismo, nel mentre spettri nazifascisti avanzano, noi bruniani, nell’anniversario del martirio di Giordano Bruno vogliamo rimettere al centro più che mai il valore della Laicità, supremo principio della nostra Carta costituzionale repubblicana.
Niente è più prezioso della Laicità, perché le garanzie di convivenza civile non possono venire da supposte rivelazioni, ma dal patto laico di cittadinanza, a tutela della dignità di ciascuno e nel diritto di ciascuno a essere l’esclusivo proprietario della sua vita. Sempre e ovunque, come sancisce la nostra Costituzione che vincola lo Stato repubblicano a rimuovere gli ostacoli che impediscono autonomia e autodeterminazione individuali.
Senza laicità non c’è democrazia. Non c’è libertà, né giustizia, né uguaglianza di pari opportunità. Ma solo sopruso.
La laicità è allora essenza e motore della democrazia per concretizzare l’uguaglianza nei diritti umani, nell’impegno politico a produrre benessere sociale, rispetto reciproco. Per uscire dalla caverna della sottomissione individuale e sociale, sperimentando il coraggio della libertà.
Bruno vuole un mondo di individui pensanti e liberi. Per questo ha accolto con entusiasmo la Rivoluzione copernicana, che sviluppa e amplifica nel suo straordinario infinito. In tutta una serie di successive e concentriche rivoluzioni. Eccole in sintesi:
– Al principio divino, sostituisce la Natura – Materia – Vita autosufficiente. Quindi perfetta, divina, nella sua infinita autonoma capacità di generare gli infiniti fenomeni. In natura niente si crea e niente si distrugge.
Alla conoscenza prefissata nel modulo dell’anima creata, sostituisce la fisicità della mente corpo funzione biologica. Insomma come dirà Crick, lo scopritore insieme a Watson della catena del DNA: «come la bile è una secrezione del fegato, l’anima è una secrezione della mente». Contro il confessionalismo del precetto, rivendica la libertà dell’etica nella sua autonomia ed autodeterminazione per ciascun essere umano. Perché ognuno è proprietario della propria vita. Responsabile del progetto di vita che vuole per sé. Comunque e sempre.
Alla politica del potere di pochi, contrappone quella della cittadinanza per tutti.
Usciti dalla gabbia del geocentrismo, dove «gli erano mozze l’ali», gli esseri umani possono finalmente spiccare il volo e «liberarse de le chimere» di un cielo superiore e una terra inferiore.
E il Nolano chiama ogni essere umano a spiccare questo volo per sperimentare le infinite possibilità di pensare, conoscere, agire. Per diventare, «possendo formar altre nature, altri corsi, altri ordini con l’ingegno», «cooperatori dell’operante natura». Penetrando le leggi fisiche della materia-vita. Dove tutto è corpo animato e infinita trasformazione nel suo particolare caratterizzarsi fenomenico.
La «natura materia madre, che partorisce dal suo grembo all’infinito le sue forme», non ha bisogno di altro che di se stessa. È autosufficiente nella costanza del suo autonomamente farsi.
Non c’è più bisogno di creazionismo, né di provvidenzialismo, né di finalismo.
Il Nolano ha squarciato il velo! E la favola delle immaginarie sacralizzate essenze si schianta su questa materia-vita-infinita-totale-universale-essere, di cui ogni essere umano nella sua fisicità fa parte. E proprio nella sua fisicità può scoprire, conoscere, agire. E in questo si è maghi. Si è dei a se stessi.
La magia di Bruno è conoscenza. È sviluppo della capacità di indagine e ricerca per analizzare i legami chimici degli elementi naturali, i profondi nessi causali tra tutte le cose: «magia – scrive – è la contemplazione della natura e scoperta dei suoi segreti».
E il nostro filosofo scrive: «Approvo quello che si fa fisicamente e procede per apotecàrie [farmaceutiche] ricette… Accetto quello che si fa chimicamente»; «Ottimo e vero è quello che non è sì fisico che non sia anche chimico e matematico».
Questa è la magia per Giordano Bruno, contro la «magia di disperati» «di chi invoca supposte intelligenze occulte con riti preghiere formule».
La magia è allora arte della conoscenza, magia di conoscenza, «potenza cogitativa» che sa tessere interrelazioni rappresentative. È memoria ragionata, che sviluppa pensiero problematico. Elabora giudizi fondati.
E Bruno sottolinea la fisicità di questo processo intellettuale: «la ricerca ragionata dei dati particolari, è il primo accostarsi al cibo, la loro collocazione nei sensi esterni ed interni, è una forma di digestione» per «progredire nelle operazioni dell’intelligenza», per «vedere con gli occhi dell’intelligenza».
La memoria dunque, in questo incessante processo di scomposizione e ricomposizione di «atomi corporei-mentali» (li chiama proprio così) è «conoscenza del nuovo». Esercizio di continua trasmigrazione concettuale. Succedersi di cicli conoscitivi conclusi, che si riaprono a sempre nuovi cicli di diversificate acquisizioni (le pitagoriche trasmigrazioni di cui parla).
Ma perché questo accada, bisogna superare «l’abitudine di credere, impedimento massimo alla conoscenza».
Bisogna allora impegnarsi a “spacciare” (scacciare) via l’ottusità della fede asinina attraverso una radicale renovatio. Per fare spazio alle infinite possibilità delle individuali singolarità. Quelle che ancora oggi l’integralismo cerca di reprimere.
È il confessionalismo di potere che considera l’umanità eterna minore, e che per questo vuole riappropriarsi del controllo della scuola, della ricerca, della scienza …
Contro tutto questo e molto altro ancora, la filosofia di Bruno è la tromba del riscatto perché – come scrive- «la vita vera … sta nelle nostre mani». Ognuno ha intelletto e mani, afferma Giordano Bruno, ma è la mano, l’operosità, l’agire che ci rende intelligenti.
Christian René de Duve, premio Nobel per la medicina (1974) ha scritto: «L’Homo sapiens, quello che possiede conoscenza, deriva dall’Homo habilis, colui che sapeva usare le mani». Un bel riconoscimento per il nostro Giordano Bruno, che a proposito di evoluzionismo secoli prima di Darwin scriveva che senza la mano «l’uomo in luogo di camminare serperebbe, in luogo d’edificarsi palaggio si caverebbe un pertuggio, e non gli converrebbe la stanza, ma la buca». E ancora «dove sarebbero le istituzioni de dottrine, le invenzioni de discipline, le congragationi de cittadini, le strutture de gl’edificij et altre cose assai, che significano la grandezza et eccellenza umana […]? Tutto questo se oculatamente guardi, si referisce non tanto principalmente al dettato de l’ingegno, quanto a quello della mano organo de gl’organi».
Insomma, è l’azione che fa la differenza! Ed è sul primato dell’agire che Bruno prospetta la sua riforma politico-sociale. Invitando a costruire Repubbliche, a rimuovere le ingiustizie, perché il Paradiso – scrive Bruno – bisogna costruirlo in terra, o almeno cercare di far diventare la terra meno inferno. Ecco allora, che alla religione del regno dei cieli, Bruno contrappone la religione civile, che è legame politico-sociale. Legame umano per vivere in pace e serenità. Nella civile pacifica convivenza: «dove – sostiene il Nolano – la quiete de la vita sia fortificata e posta in alto […] dove non si dee temer d’altro che d’essere spogliato dall’umana perfezione e giustizia». Ovvero spogliato della dignità. Dei diritti umani, che garantiscono l’emancipazione individuale e sociale. Che, come aveva ben capito il Nolano, esiste soltanto se è tutelata nel patto sociale.
Patto costituzionale lo chiamiamo oggi. Vincolo per ciascuno a rispettarlo, perché è la garanzia che la mia libertà inizia contemporaneamente a quella di ciascun altro. Nei diritti e nei doveri. E solo su queste basi di laicità – cultura dell’emancipazione e dell’uguaglianza – si può costruire una società più giusta ed equa, dove ognuno sia tutelato contro il sopruso, il familismo … la prepotenza.
«La legge – scrive Bruno – faccia che gli potenti per la loro preminenza e forza non sieno sicuri». E aggiunge: «gli potenti sieno più potentemente compressi e vinti» affinché «gli deboli non siano oppressi».
Insomma bisogna avere la certezza del diritto e costruire le condizioni del diritto: per l’emancipazione individuale e sociale. Perché a nessuno continua: «non gli sia oltre lecito d’occupare con rapina e violenta usurpazione quello che ha commune utilitate». (Spaccio).
Ecco il bene comune! I beni comuni!
E proprio sulla questione dei diritti sociali e dei beni comuni, passa oggi la riaffermazione della dignità di ciascuno, anche contro l’arroganza di un liberismo selvaggio che assicura la ricchezza a pochi, e a tutti gli altri la certezza di una vita sempre più precaria. …
Attenzione, la ricchezza non è un male – sostiene il nostro filosofo – se è risultato del lavoro che consente l’emancipazione a cui tutti devono essere posti nella condizione di accedere. Ma, cara Ricchezza – scrive – sei da scacciare via « quando amministri alla violenza, quando resisti a la giustizia […] e non sei quella, che dai fine a’ fastidi e miserie, ma che le muti e cangi in altra specie».
Insomma, poiché il sopruso trova sempre il modo di metabolizzarsi. Ecco allora la necessità di affermare per il bene comune il principio dell’uguaglianza delle opportunità: «non è possibile – afferma il nostro filosofo – che tutti abbiano una sorte; ma è possibile ch’a tutti sia ugualmente offerta».
Insomma libertà e democrazia nell’accesso ai diritti. E se questo non avviene, – continua Bruno – dipende «dalla inegualità, iniquità ed ingiustizia di voi altri, che non fate tutti equali e che avete gli occhi delle comparazioni, distinzioni, imparitadi ed ordini, con gli quali apprendete e fate differenze. Da voi, da voi, dico, proviene ogni inegualità, ogni iniquitade». Gli uomini possono produrre le ingiustizie. Gli uomini possono rimuoverle. Ecco allora in sintesi il programma attualissimo della Riforma di Giordano Bruno: fornire l’istruzione a tutti perché ognuno possa emanciparsi; rimuovere gli ostacoli degli svantaggi individuali, sociali ed economici; togliere i privilegi; deporre i tiranni; costruire le Repubbliche e rafforzarle; scegliere governanti onesti. Perché individui si diventa. Perché l’appartenenza nella cittadinanza è nostra costruzione.
Cittadinanza democratica, di cui la laicità è motore e baluardo contro il sopruso.
L’appuntamento: L’associazione nazionale del Libero Pensiero “Giordano Bruno” come ogni anno ricorderà il filosofo Giordano Bruno il 17 febbraio in Campo de’ Fiori a Roma (dalle ore 17). Con interventi di Giulia Gazerro “L’eco di Bruno: uomo natura cultura in un universo dinamico, di Luca Tedesco “Il Libero Pensiero a Roma nel 1904: l'(in)attualità di un congresso” e di Maria Mantello: Laicità è democrazia. A seguire i recitativi di Annachiara Mantovani. E infine cori di canti popolari nella continuazione dello spirito bruniano, diretti da Sara Modigliani.
L’autrice: Maria Mantello è saggista e presidente dell’Associazione nazionale del libero pensiero Giordano Bruno