Giorgia Meloni continua a muoversi su un filo sottile, oscillando tra fedeltà agli Stati Uniti e il tentativo di mantenere una parvenza di autonomia in Europa. Il vertice di Parigi lo ha dimostrato ancora una volta: da un lato, l’adesione all’aumento delle spese militari, un segnale lanciato a Washington; dall’altro, il rifiuto di discutere dell’invio di truppe in Ucraina, un gesto di prudenza che la allontana da Macron e dai “volenterosi” dell’Unione europea.
L’equilibrismo, però, si sta rivelando sempre più una zavorra. La premier si ritrova in una posizione scomoda, costretta a rassicurare Trump, con cui condivide la diffidenza verso l’Unione europea, e a non irritare troppo i partner continentali, che guardano con sospetto la sua ambiguità. La sua strategia di evitare scelte nette rischia di tradursi in un isolamento doppio: non abbastanza allineata con i falchi europei, non abbastanza determinata per guadagnarsi un posto di rilievo nell’agenda di Washington.
Meloni è una funambola su un filo sempre più sottile, con il rischio di precipitare nel vuoto. A Parigi ha cercato di tenere a bada Macron, senza però offrire alternative credibili. La sua prudenza sull’invio di truppe può sembrare buon senso, ma la verità è che non c’è nessuna strategia. L’Italia, in questa partita, non incide: annuisce agli Stati Uniti senza ottenere garanzie, si accoda alle decisioni europee senza influenzarle davvero. E così, mentre le alleanze si ridisegnano con una rapidità senza precedenti, Meloni resta impantanata in un’ambivalenza che non paga. Non a Bruxelles, non a Washington, non a Roma.
Buon martedì.