Quarantacinque anni di menzogne, insabbiamenti, complicità internazionali. E oggi, ancora una volta, si chiude un fascicolo con la formula più vigliacca

Ci sono storie che il potere preferisce seppellire sotto il peso del tempo. La strage di Ustica è una di queste. La richiesta di archiviazione non cancella i fatti, ma certifica l’impotenza di uno Stato che ha scelto il silenzio come strategia politica.

Quarantacinque anni di menzogne, insabbiamenti, complicità internazionali. E oggi, ancora una volta, si chiude un fascicolo con la formula più vigliacca: non si può andare oltre per “mancanza di collaborazione”. Come se la verità fosse un bene di lusso concesso solo su gentile richiesta degli Stati alleati.

Le indagini hanno confermato quello che ormai è chiaro da decenni: la notte del 27 giugno 1980 nei cieli sopra Ustica si combatteva una guerra mai dichiarata. Il DC9 dell’Itavia non è esploso per un guasto o per una bomba interna, ma è stato abbattuto in un’operazione militare di cui l’Italia è stata vittima. I radar militari hanno registrato la presenza di caccia stranieri, le testimonianze si sono accumulate, le prove distrutte o sparite nel nulla. Eppure, nessun governo ha mai preteso risposte.

Cosa significa oggi archiviare Ustica? Significa inchinarsi, ancora una volta, al ricatto della “ragion di Stato”. Significa accettare che 81 persone siano morte in nome di un equilibrio geopolitico che ancora oggi non può essere scosso. Significa dire ai familiari delle vittime che la loro battaglia per la verità è stata vana.

Servirebbe un sussulto. Un governo che non lotta per la verità è un governo che accetta di essere irrilevante. E l’Italia ha già subito abbastanza umiliazioni.

Buon giovedì.

 

Il relitto dell’areo al Museo della memoria di Bologna, fonte della foto wikipedia