La tragedia nazifascista che ha segnato il novecento è iniziata disconoscendo prima i diritti basilari ai più fragili e poi la loro stessa esistenza. Agiamo tutti affinché alla storia non venga concesso di ripetersi

Verba volant scripta manent, sostiene un vecchio motto latino per sostenere l’importanza di mettere nero su bianco e di dare certezza ed ufficialità ad un atto.
E se succede che anche “verba manent”?
Questo è l’interrogativo che, in questi ultime settimane, si sono posti molti di coloro che vivono in modo diretto una situazione di disabilità. L’annuncio con il quale il presente argentino Milei ha sancito legalmente la possibilità di utilizzare termini quali imbecille, ritardato, idiota per definire le persone con disabilità intellettiva, che segue di qualche giorno l’intenzione espressa da Trump di eliminare i finanziamenti per le agenzie governative che si occupano dell’ inclusione lavorativa delle persone con disabilità, perché ritenute dal neo presidente americano inadatte a svolgere attività lavorative a prescindere da qualsiasi tipologia sia fisica, che neurologica o cognitiva e dal grado di gravità, sono parole, ma con un peso specifico enorme e, per molti versi, devastante.
“Le parole sono importanti” gridava Nanni Moretti al suo interlocutore, per evitare che si usassero con leggerezza, senza peso, in un suo vecchio film. “Le parole sono pietre”, era invece il titolo di un famoso libro di Carlo Levi.
Infatti, le parole dei due Presidenti d’oltre oceano configurano l’idea che il lavoro non sia un diritto universale, ma serva esclusivamente per generare profitto. Conseguentemente, in base a questo ragionamento disumanizzante che non considera il valore delle persone, il lavoratore disabile è una sorta di contraddizione in termini.
È come se il consumismo, nella sua forma ultra liberista, avesse compiuto una sorta di mutazione genetica, passando da una visione usa e getta delle cose alle medesima concezione delle persone.
Questa idea di una parte dell’umanità che viene considerata come uno scarto, cammina sottotraccia, a macchia di leopardo, in alcuni strati della società, nei nostri Paesi occidentali e rappresenta, se non disinnescata, un vero e proprio pericolo per le democrazie.
Dobbiamo ribadire senza tentennamenti che il lavoro è un diritto sacrosanto per le persone, tutte, e va difeso, promosso e sostenuto, non solo perché è il principale strumento di inclusione nel tessuto sociale di un Paese di chi è abile e di chi è disabile, ma perché è una delle principali cartine di tornasole dello stato di salute di una democrazia, che in quanto tale dovrebbe offrire maggiori strumenti per chi ha meno possibilità.
La tragedia nazifascista che ha segnato il novecento è iniziata disconoscendo prima i diritti basilari ai più fragili e poi la loro stessa esistenza. Agiamo tutti affinché alla storia non venga concesso di ripetersi.

Gli autori: Nina Daita è esperta di politiche sulla disabilità,
Cesare Damiano è ex ministro e presidente dell’associazione Lavoro&Welfare