Al-Kikli, secondo alcune fonti, è nella lista dei ricercati della Corte penale internazionale, ma l’Italia, invece di collaborare, sembra offrirgli ospitalità

Abdul Ghani Al-Kikli (4), signore della guerra accusato di torture e omicidi, fotografato in un ospedale di Roma con Ammar Joma (1) – fratello di Adel Joma, Adel Jumaa Amer (2) – ministro di Stato per il PM e gli affari di gabinetto, Mohamed Ismail (3) – ex miliziano e alto funzionario finanziario, Ibrahim Ali Al-Dabaiba (5) – figlio di Ali Al-Dabaiba e potente broker politico, Abdul Basit Al-Badri (6) – ambasciatore libico in Giordania, Ahmed Al-Sharkasi (7) – parente del premier Dabaiba e membro del consiglio dell’Arab Bank, e Dagoor (8) – stretto collaboratore di Adel Jumaa

Un altro criminale di guerra libico si aggira liberamente in Italia. Dopo il caso di Mahmoud Almasri, adesso tocca ad Abdul Ghani Al-Kikli, noto signore della guerra di Tripoli, accusato di torture, sparizioni forzate e omicidi extragiudiziali. Lo denuncia l’account @RefugeesinLibya, pubblicando una foto che lo ritrae in una stanza dell’Ospedale Europeo di Roma, circondato da uomini chiave del governo libico di Abdul Hamid Dbeibah.

Al-Kikli, secondo alcune fonti, è nella lista dei ricercati della Corte penale internazionale, ma l’Italia, invece di collaborare con la giustizia internazionale, sembra offrirgli ospitalità. Non è il primo caso. Già con Almasri, accusato di traffico di esseri umani e crimini contro le persone migranti, il governo Meloni si era dimostrato più incline all’accoglienza dei carnefici che delle vittime. Il paradosso è che mentre l’esecutivo si vanta di aver trasformato l’Italia in una fortezza contro l’immigrazione, consente a chi di quell’immigrazione ha fatto un business sanguinario di muoversi indisturbato nel nostro Paese.

La foto pubblicata da @RefugeesinLibya non lascia spazio a interpretazioni: Al-Kikli è in Italia, ospite di un sistema che ignora la giustizia e i diritti umani. E se la comunità internazionale chiede risposte, da Roma si alza il solito silenzio complice.

Buon venerdì. 

 

Foto @RefugeesinLibya