Nel caos libanese provocato dalla guerra e in una situazione di estrema precarietà sociale i graphic novel diventano arma di denuncia, sfidando censura, conflitti e silenzi mediatici

All’atterraggio in Libano, in un giorno di primavera, l’impressione è che il Paese cada a pezzi. Va comunque molto meglio, assicurano in molti, da quando a novembre 2024 è stata firmata la tregua con Israele e a gennaio scorso è stato eletto il nuovo presidente della Repubblica e si è formato il nuovo governo dopo due anni di impasse. Sarà. Negli ultimi anni, il Libano ha attraversato una serie ininterrotta di catastrofi. Nel 2019, una crisi finanziaria devastante ha scatenato un’ondata di proteste contro corruzione e ingiustizia sociale, che i libanesi chiamano la thawra “rivoluzione” del 2019, ma che non è riuscita a rovesciare il sistema, complice anche il lockdown del 2020, che ha ulteriormente aggravato la situazione di un Paese allo stremo. Nell’agosto del 2020, il porto di Beirut è esploso per colpa di enormi depositi di nitrato di ammonio sui quali i governanti non hanno ancora fatto chiarezza. Dopo il 7 ottobre 2023, si è aperto il fuoco tra Hezbollah e Israele e quest’ultimo ha bombardato il Libano per settimane, nel quadro di un genocidio che la superpotenza porta avanti a pochi chilometri di distanza, a Gaza, e di una guerra totale che sembra voler condurre contro tutti i suoi vicini. Di questi tempi, se non altro, non piovono bombe sul centro di Beirut. Ma in realtà il sud del Libano, al confine con Israele, non ha mai smesso di essere colpito. Quotidianamente. Da fine marzo, inoltre, sembrano ricominciati bombardamenti mirati nella periferia sud di Beirut.

Nella capitale, certi giorni si sente il ronzio dei droni. Google maps a tratti impazzisce e il cursore che segna la propria posizione si sposta avanti e indietro da solo: sono gli israeliani che giocano coi satelliti, mi dicono. Il pensiero corre all’operazione con cui il Mossad ha fatto esplodere migliaia di cercapersone lo scorso settembre.

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