Dopo dieci anni, il duo I TU torna con Cassetto, un album ricco di collaborazioni e sorprese. Sebastiano Forte e Federico Leo sono dal vivo il 27 luglio al Teatro India di Roma

Sebastiano Forte e Federico Leo sono I TU, che, ammettono con ironia, è il nome meno “googolabile” in circolazione, ma sui social si trovano come “TU la band”. Perché questo nome, gli chiedo come prima cosa:

Federico: “Cercavamo un nome. Prima ci chiamavamo “Forte vs Leo”, una strana band: andavamo in giro ad improvvisare delle cose senza darci mai un canovaccio. Poi è venuto fuori un primo brano e ci chiedevamo: “Come ci chiamiamo?” e a me è venuto in mente “TU” perché era un po’ l’italianizzazione di DUE e anche perché in quel periodo suonavamo qualsiasi musica possibile, la musica “che vuoi tu”. Poi la formula è cambiata, ma siamo rimasti in due”.

Sebastiano: “È rimasto il nome del primo disco che si intitolava Non avrai altro DUO all’infuori di (TU) e quindi a quel punto era un gruppo in seconda persona in tutto e per tutto. Abbiamo capito anche che, man mano che il tempo passava (questo gruppo ha poco più di 10 anni), che la parola Tu è sempre più relegata ai margini delle comunicazioni. C’è sempre solo un gigantesco IO. Noi stiamo aspettando che questa parola sparisca come pronome personale così la gente che cercherà “TU”, troverà il nome proprio di una band che fa cose varie e sono “I TU”! Quando il tu sparirà come pronome, resteremo solo noi!”.

Sebastiano e Federico sono “due immigrati del Sud Italia, con la valigia di cartone”, come gli piace raccontare.  Forte, dalla provincia di Siracusa, arriva a Roma nel 1997 per studiare psicologia e poi, al conservatorio di Frosinone, chitarra e composizione jazz. Da bambino suonava il clarinetto, adesso lo strumento principale è la chitarra, però poi suona quello che serve: dal pianoforte alle tastiere, non tralasciando il basso.

Leo da un’altra provincia, quella di Lecce, arriva nella capitale nel 2003 per studiare grafica e progettazione multimediale alla facoltà di architettura a Valle Giulia e parallelamente in un’accademia musicale romana, che poi è diventata Fonderia delle arti. Anche lui ha studiato al ìconservatorio di Frosinone arrangiamento jazz e batteria. Suona prevalentemente la batteria, ma facendo anche il produttore musicale, maneggia un po’ di tutto, ma non è strumentista, ammette.

Si incontrano nel 2015 e realizzano l’album Non avrai altro DUO all’infuori di (TU), poi si dedicano anche alla televisione, al teatro, al web. Sono inviati speciali per Rai 3 al Concertone del Primo Maggio nel 2018; protagonisti di lavori per RaiPlay; diventano virali sui social per “Tutto Sanremo in 5 minuti”, un esilarante medley dei brani con testi da loro rivisitati. Li abbiamo visti al Data Comedy Show di Rai Due, sono stati poi protagonisti dello speciale “Master of Comedy” su Comedy Central e prossimamente li vedremo tra gli ospiti del nuovo programma In & Out su TV8.

Tornano sulla scena dopo 10 anni dal loro primo album con il nuovo intitolato Cassetto, uscito lo scorso 13 giugno. Presentato al Monk di Roma, l’album vanta tantissimi ospiti, ed è bello citarli tutti: Avincola, Carolina Bubbico, Lucio Leoni, Lepre, Francesco Forni. E ancora, il maestro Pino Marino, lo scrittore e musicista Ivan Talarico, il comico Francesco De Carlo, l’autrice e attrice Federica Cacciola, l’attrice e cantante Violante Placido.

Sono ironici, simpatici, ma guai a definirli comici. Su tutto sono due musicisti professionisti che giocano, nel significato più positivo del verbo, con la musica per improvvisare, sorprendere e spiazzare. Nei loro testi ci sono sentimenti, nostalgie; che siano melodie blues o rock, si parla di vita soprattutto, non sempre per mezzo di metafore. Di loro stessi dicono: “Siamo difficili da spiegare”. Ma forse troppe parole non servono. Ci basta ascoltare i loro brani e per adesso adesso andarli a vedere il 27 luglio dal vivo al Teatro India nello spettacolo di Francesco De Carlo.

Ripartiamo dal disco Cassetto: è il risultato di 10 anni di lavoro?

F. O di un non lavoro di 10 anni (ride ndr). Sì, dopo il primo disco, l’anno dopo era già pronto quello che era il secondo album, o parte di quello che era il secondo album. Però quando era finito, lo abbiamo riascoltato, ci piaceva molto e ci siamo chiesti cosa farne. Quindi abbiamo detto di provare a fare altre cose, a trovare po’ di seguito e solo quando lo avremmo avuto, allora il disco era pronto per essere ascoltato. Abbiamo portato ai minimi termini la nostra personalità, ci siamo chiesti che cosa ci contraddistingue. Ci contraddistingue il fatto di essere due curiosi della musica, che sanno suonare più o meno tutto, che la sanno analizzare, la sanno capire, forse la sanno raccontare e quindi è nata la prima serie che era PosiscionTU (una webserie con cui molti li hanno conosciuti ndr), che racconta la seconda posizione dei singoli più venduti in Italia ogni settimana. Abbiamo iniziato analizzando e prendendo un po’ in giro la classifica, poi abbiamo cominciato a suonare i brani della classifica in maniera un po’ nostra, ovvero facendo emergere il carattere delle canzoni che non arriva al primo ascolto. Poi da lì è arrivata la Rai che ha detto “bello”, chiedendoci di farlo sui grandi della canzone italiana, utilizzando il materiale delle Teche Rai, e quindi abbiamo fatto “Happy Birthday TU”, raccontando nei giorni del compleanno, i grandi artisti della musica italiana. E poi da lì, per una serie di fortunati, o sfortunati, eventi ci siamo ritrovati nel mondo della comicità e abbiamo cominciato a collaborare con Francesco De Carlo, abbiamo fatto i live per “Comedy Central”. Insomma, abbiamo fatto tutta una serie di cose che non ci aspettavamo.

S. In questi giorni c’è In & Out, questo programma comico di TV8 e in ogni puntata ci siamo pure noi a suonare dei brani, insieme a Francesco De Carlo.

F. Questo album c’è sfuggito. È stato lì nel “cassetto”. Siamo stati distratti dall’ironia, dal rapporto con la comicità. Giocare con la musica ci ha portato lontano dalle canzoni. Alcune erano scritte e ne scrivevamo altre. L’anno scorso ci siamo resi conto che queste canzoni erano pronte, cominciavano ad uscire.

S. Alcune le abbiamo fatte uscire, anche slegate dal concetto di album. Poi abbiamo deciso di farle uscire insieme con un disco. Abbiamo pensato di chiamare degli amici perché non volevamo stare da soli. Erano tutti brani per i quali richiedevamo un aiuto.

F. Quando abbiamo cominciato questa avventura di coinvolgere altre persone, ci siamo innamorati di questa cosa perché vedevamo che poi quando arrivava qualcuno, e metteva il suo, le canzoni prendevano una vita inaspettata, diventano diverse, ma più belle. Non potevamo più farne a meno, ci chiedevamo chi le potesse cantare e facevamo associazioni strane tra i nostri amici e siamo riusciti a far cantare un pezzo metal a Ivan Talarico, che non succederà mai più nella vita!

Dieci brani, dieci artisti ad impreziosirlo, per un risultato diverso ogni volta. Un contributo per l’interpretazione perché testi e musica sono vostri o anche idee per una migliore esecuzione?

F. In realtà alcune volte hanno contribuito alla scrittura dei testi. Ivan (Talarico ndr), per esempio, ha scritto la melodia di “Portami là”; abbiamo buttato via tutta la parte cantata e abbiamo detto “adesso ci scrivi una cosa tu!”. Oppure, il ritornello di “Chiamami” è stato scritto e cantato da Lepre.

S. Pensavamo che Lepre stesse venendo a registrare la strofa e invece ha detto “Secondo me, dobbiamo scrivere un ritornello”. Abbiamo riscritto insieme una cosa totalmente diversa, che è diventata il ritornello di quel brano. Abbiamo dato totale libertà, non ci siamo sentiti padroni dei pezzi, della musica. Per noi la musica è una cosa che, per come è nata, cambia quando incontra gli altri, come è sempre successo. Da un punto di vista musicale, abbiamo suonato quasi tutto noi due. Però Francesco Forni, in “Lasciami qui” (‘nell’autogrill’, prosegue il titolo ndr), ha fatto un bellissimo assolo di chitarra; su “Senza paura”, che è l’ultimo brano del disco, oltre a Violante (Placido ndr), che è anche scritto insieme a noi il testo, perché lo ha preso e lo ha personalizzato, ci sono gli archi di Carmine Iuvone, a cui abbiamo dato carta bianca. Su “Chiamami” ci sono le tastiere di Andrea Pesce “Fish”. Invece, su ogni brano c’è una voce diversa.

F. Anche in maniera atipica. Su “Feste anni 70”, Francesco De Carlo ha quasi improvvisato un pezzo di Stand Up all’interno di una canzone strumentale. Anche Federica Cacciola, in “Talent”, ha fatto degli interventi esplicitando il significato della canzone con dei commenti puntualissimi, molto simpatici.

Avete fatto un live al Monk, a giugno, che ha avuto un grande successo di pubblico. Non state pensando a replicare o a fare altre date?

F. La prossima cosa che faremo dal vivo, è il 27 luglio al Teatro India, una serata insieme a Franceso De Carlo, una cosa orientata più sul lato comico però suoneremo anche qualche brano del disco per ripresentarlo. Ci saranno lì un sacco di ospiti e ci saranno altre persone, ma non abbiamo in mente una scaletta. Sarà una serata imprevedibile come saranno tutte le serate con Francesco in cui può succedere di tutto anche all’ultimo momento.

Vi definite “simpatici”, ma non comici in qualche modo siete arguti, pungenti, ironici, divertentissimi direi, come del resto i titoli dei vostri brani. Tutti questi connotati che apporto danno alla vostra produzione musicale?

F. Credo che la musica, come tutte le arti, sia una questione prima di tutto emotiva, non tanto di messaggio, ma ha che fare con le emozioni. Quando un artista (uso il termine impropriamente) si mette a scrivere, si dà un tono e parla di cose molto serie. Dell’ironia si fa sempre poco uso. Noi siamo appassionati di ironia, ci piace tanto, molto di più della comicità ecco perché non siamo comici. La comicità vuole fare ridere, noi non vogliamo far ridere, vogliamo spiazzare e nemmeno lo vogliamo fare apposta, semplicemente all’interno degli ingredienti che usi ci metti anche l’imprevidibilità o l’ironia in cui anche se ti prendi sul serio, ti prendi in giro mentre ti prendi sul serio. Diventa tutto spiazzante, entrano in campo quegli elementi che ti fanno sorridere perché hai la sensazione di vuoto. Quando ascolti le canzoni de I TU, non sai mai bene che cosa sta succedendo, devi essere serio, devi ridere. Questa sensazione di vertigine ci piace tanto, ci piace rincorrerla. La comicità è un’altra cosa. Quando si utilizza l’ironia in questo fantastico mondo che è pronto ad incasellarti sempre da qualche parte (e lo è sempre di più: tutto deve avere la stessa durata; essere descritto con un aggettivo e basta; il programma giusto), allora viene fuori che I TU sono due comici perché è più semplice da dire, però non è così perché quelli che fanno i comici lo fanno veramente e sono più bravi di noi. Noi siamo due musicisti che utilizzano l’ironia e questa cosa è sicuramente rara e non lo era un po’ di tempo fa se si pensa a Cochi e Renato o a Enzo Jannacci. Oppure Elio, che sono una band incredibile che alla fine fanno LOL. Questo è un buco nel sistema, non dovrebbe succedere.

S. L’elemento che fa ridere, che fa sorridere, è l’elemento della sorpresa. Il sorprendere, il voler sorprendere, non nel senso di fare uno sgambetto, nel senso di trovare una cosa inaspettata per quanto mi riguarda, per me ascoltare musica è questo. Un disco in cui non ho avuto sorprese è poco stimolante.

Come è il momento musicale che viviamo? O meglio, qual è il vostro pensiero su come sta la musica italiana, di cui spesso si dice che non sta messa bene…parlo di fantasia, soprattutto.

F. Se parliamo di musica, io credo che come sempre ci sia tantissima musica bella in giro e tante persone che la fanno ad altissimo livello in Italia e nel resto del mondo, soprattutto nei luoghi dove meno me te lo aspetti. Se parliamo di mercato discografico, io credo che sia veramente malatissimo perché succede quello che Federica Cacciola, presentando il brano al Monk, ha detto sul palco, ha sciorinato la formula “noi siamo al mondo anche oggi, ma adesso vi portiamo a un Talent, poi vi facciamo un contratto, poi il giro dei palazzetti, poi gli stadi e poi vi prosciugheremo faremo in modo che non avrete più una goccia di creatività”. Questo è più o meno quello che succede. Il problema è che oltre alla creatività, gli si prosciuga anche il denaro. È l’artista che si presta ad essere non produttore, ma prodotto.

S. Un prodotto indebitato soprattutto!

F. Il mercato è sempre stato mercato. La differenza con quello che è successo negli anni Settanta è che allora i dischi li poteva fare un cantautore su 100, non c’erano le risorse per farlo. In un modo o nell’altro si investiva su dei talenti, c’era una scrematura, adesso i dischi li possono fare tutti e c’è tantissima musica, non sempre di altissimo livello. Io sono un fan dello streaming, però se un brano esce e non viene messo dentro le playlist per essere spinto, e quindi acquisire credibilità, stream o poi andare a suonare in quei due o tre festival, allora succede che hai buttato un disco e questa cosa può succedere perché i dischi costano poco. Se invece costassero tantissimo, uno farebbe un contratto per tre album, seguendo l’artista in un percorso di almeno 10 anni. Io non ho una risposta a come uscire da questa cosa, a parte una che a un certo punto credo che bisogna cancellare i numeri. Se Spotify smettesse di far vedere i numeri mensili di un artista e le stream del brano e facesse la stessa cosa Instagram, togliendo i follower, noi in un secondo avremmo un mondo che sarebbe di nuovo piatto e ognuno ascolterebbe quello che vuole ascoltare e non quello che una piattaforma ti dice di ascoltare.

S: Sei un “mondo-piattista” (ride ndr). Stiamo parlando di capitalismo e di lotta al capitalismo selvaggio perché non è che il mercato musicale segue canoni diversi. Se chiedi come sta la musica, è come se chiedi come stanno le verdure, sono un prodotto. Dipende da dove le vai a prendere: trovi quelle del contadino, che hanno un sapore pazzesco, e trovi quelle che hanno lo stesso sapore di Tony…(emh) Acca, una cosa artificiale. C’è chi “magna tutto” e c’è chi dice che vuole qualcosa che gli piaccia. Non aver paura di dire che ti piace un artista che piace a pochi, e sentirlo anche se non ha i numeri, oggi diventa una scelta coraggiosa. Ascoltare quello che va per la minore, ma anche che ci piace.

F. Insomma, ci sta altro. Ci stiamo noi che abbiamo fatto un live al Monk e non siamo la band da classifica. Abbiamo venduto un sacco di vinili. Abbiamo fatto un concerto in cui non volevamo guadagnare nulla, abbiamo dato tutto in beneficenza. Le nuove generazioni, la Gen Z, sta già risolvendo questo problema andando fuori da questi circuiti, organizzando i concerti in luoghi altri che non siano i club. Sta ricominciando “una pulizia” che, probabilmente, tra qualche anno porterà a qualcosa di buono. Poi il mercato troverà sempre il modo di fagocitare, però adesso si sta separando in maniera automatica il mercato dalla musica.

Cassetto” è un insieme di tante cose. Il lavoro di tanti anni, un lavoro condiviso con artisti e amici, la possibilità di suonare live come piace a voi. Ci sono altre cose, al momento, nei vostri cassetti personali?

S. Questo disco ci ha fatto effetto borsa di Mary Poppins. Tiri fuori tutto, ma ci sono ancora un sacco di cose dentro, escono possibilità. È un po’ quello che abbiamo capito quando abbiamo iniziato a far cantare i brani a qualcun altro: si sono creati rapporti, altre possibilità, altre energie. Stanno nascendo altri brani, ci sono cose in potenza che cominciano a prendere forma nelle nostre idee.

F. Non ci sono altre canzoni nel cassetto, le abbiamo tirate tutte fuori, ma nel nostro caso è l’ultimo dei problemi. Ci ha fatto venire voglia di scrivere canzoni nuove e di scriverne per altri. Ci è presa tantissima voglia di suonare dal vivo, cosa che non facevamo da tantissimo come I TU. Adesso stiamo realizzando che faremo altri concerti di “Cassetto” in giro per l’Italia.