Il governo recita la parte del paladino della «legalità», ma al bilancio la maschera cade. La Corte dei conti certifica che nel 2024, a fronte di 72,3 miliardi di evasione accertata, allo Stato sono arrivati 12,8 miliardi: il 17,7%. Quando l’accertamento diventa cartella esattoriale, l’incasso precipita al 3%.
La stessa Corte indica la causa: «Radicate aspettative di successive rottamazioni» e la diffusa convinzione di poter sfuggire all’esecuzione forzata. Chi attende la prossima sanatoria scommette sullo Stato smemorato e vince. I controlli sfiorano l’irrilevanza: 1,4% delle attività economiche in un anno, una su settanta.
La narrazione dei «risultati storici» regge solo confondendo gli incassi da pace fiscale con la lotta all’evasione. Sono scorciatoie che drogano i numeri e indeboliscono la deterrenza. La rottamazione-quater ha già lasciato per strada 11,2 miliardi di rate scadute tra il 2023 e il 2024: adesioni usate per rinviare i pignoramenti, non per pagare.
Il punto politico: un esecutivo che invoca legalità a giorni alterni ha scelto la clemenza strutturale verso chi evade, riducendo i controlli e moltiplicando le vie d’uscita. Lo Stato è inflessibile con chi dichiara e distratto con chi scompare. E la comunità, cui mancano scuole, sanità, trasporti, paga due volte: quando l’imposta non entra e quando l’ingiustizia diventa sistema. La legalità, se è tale, pretende continuità e coraggio: meno condoni, più controlli, più riscossione vera.
Buon martedì.




