Il paradigma della sicurezza nazionale e internazionale va rivisto. E dobbiamo investire nella pace, ecco come

In un’epoca segnata da accelerazioni militari e da logiche geopolitiche in tensione, serve un’altra narrazione: quella della pace attiva, della sicurezza attraverso investimenti sociali, ambientali, sanitari, educativi e di cooperazione internazionale. Perché le attuali decisioni di militarizzazione e aumento delle spese militari volute dai governi ci porteranno solo maggiore sicurezza e il rischio di uno stato di guerra permanente. Il recente summit Nato e le élite europee sembrano intenti a pianificare una nuova corsa al riarmo. Nel vertice dell’Aja di fine giugno 2025 i 32 Paesi membri hanno concordato di aumentare la spesa militare entro il 2035 fino al 5 % del Pil: almeno il 3,5 % in «core military spending» (armi, mezzi, operazioni) e fino al 1,5 % in spes «di difesa e sicurezza correlate» (infrastrutture critiche, cyber, mobilità militare, resilienza). Anche l’Italia, con una spesa attuale attorno all’1,57 % del Pil (circa 35 miliardi di euro), si trova dunque ad affrontare un salto epocale: triplicare la spesa annuale fino a oltre 100 miliardi, con aumenti di 6-7 miliardi all’anno nei prossimi dieci. Il costo cumulativo stimato dall’Osservatorio Mil€x di questa scelta si potrebbe aggirare sui 700 miliardi per la sola parte “core”.

A questa prospettiva si deve aggiungere anche la proposta della Commissione europea - il piano “ReArm Europe” - che prevede investimenti fino a 800 miliardi per rafforzare la difesa e l’industria militare europea (con spese che andranno a pesare sui singoli Stati membri) oltre che la bozza di nuovo bilancio Ue per il periodo 2028-2034 che dovrebbe prevedere per il comparto difesa e spazio un totale di risorse a disposizione di 131 miliardi (cinque volte il settennato precedente!) con un contributo stimabile per il nostro paese di circa 2,4 miliardi l’anno (16,8 miliardi per sette anni) sempre secondo l’Osservatorio Mil€x.

Dati che, se messi in fila, risultano davvero impressionanti. Ma cosa ci dicono davvero? Quale può essere il significato sottostante e strutturale, al di là delle enormi cifre? La prospettiva di lungo periodo che se ne può trarre è quella di un trasferimento, nei prossimi decenni, di una quota rilevante se non enorme della nostra sovranità democratica e delle risorse pubbliche a favore degli interessi del complesso militare-industriale-finanziario. Il tutto a seguito della pressione delle lobby delle armi, delle strutture militari (e non) della Nato e cavalcando le richieste esplicite ed interessate di Trump e dei suoi sodali a favore

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