In tempi in cui il linguaggio della guerra sembra imporsi come unico vocabolario possibile della politica, il nuovo saggio di Tommaso Greco Critica della ragione bellica appena uscito per Laterza arriva come un controcanto importante, per provare a incrinare la retorica dominante che identifica il realismo con la resa alla logica delle armi. Il docente, ordinario di Filosofia del diritto nel dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Pisa, parte da un’intuizione semplice e radicale: l’essere umano non nasce bellicoso. La pace, intesa come non violenza, come rapporto e interesse verso l’altro non è un esito finale, remoto e sempre rinviato, ma la condizione originaria del nostro essere esseri umani. Quello che Greco ci propone con questo agile e incisivo libro è un rovesciamento dello sguardo che mette in crisi secoli di pensiero occidentale, da Hobbes in poi, in cui lo stato di natura era immaginato come guerra di tutti contro tutti. Homo homini lupus, l’ideologia che ci induce a pensare che senza una camicia di forza di regole ci sbraneremmo è un falso.
Greco ci ricorda che anche Montesquieu, sorprendentemente, vedeva nella pace la prima legge naturale. E ci mette in guardia dal “trucco” del realismo politico: selezionare la parte più cupa dell’esperienza umana e spacciarla per intera verità.
Il cuore dell’analisi è dedicato al “pacifismo giuridico”, particolarmente ripensando la lezione di Bobbio rovesciando il motto si vis pacem, para bellum in si vis pacem, para pacem. La pace non come tregua precaria ma come fondamento delle scelte politiche.
Da qui l’importante insistenza che Greco pone sul rilancio di ordinamenti sovranazionali come l’Onu, come Unione europea, nata contro i fili spinati: laboratori imperfetti ma indispensabili, da sviluppare ancora. L’ultimo capitolo, forse il più denso, è un atto d’accusa frontale contro la “ragione bellica” che si veste di necessità storica. La retorica della paura, ci fa notare Greco, produce un meccanismo di profezia che si auto avvera: la diffidenza reciproca conduce al riarmo e alla guerra preventiva. Una spirale che può essere spezzata solo riconoscendo che la pace non è vuoto fra due conflitti, ma “lavorio umano” continuo di dialogo, senza esorcizzare il conflitto, ma rendendolo occasione di confronto evolutivo nell’interesse pubblico e collettivo.
Ringraziamo Greco per questo suo invito a un esercizio laico di immaginazione politica: pensare la pace come principio, smontare la superstizione della guerra necessaria, rifiutare che la storia umana sia ridotta a cronaca di massacri.
È un libro di coraggioso controcanto che indica strade da percorrere: dal rafforzamento del diritto internazionale alle sanzioni come alternativa all’uso delle armi, fino alla costruzione di un “tabù della guerra” sul modello di quello che vieta la schiavitù. Una sfida culturale prima che politica. Perché, come scrive Greco, «le idee contano. E contano le persone che hanno idee».
Foto di Diego González su Unsplash




