Arturo Salerni non è “solo” uno degli avvocati che difende i familiari dei cittadini italiani desaparecidos nel processo per il cosiddetto Piano Condor al Tribunale di Roma. Salerni fa parte del direttivo di Antigone, associazione per la riforma del diritto penale e la tutela dei diritti dei detenuti; è presidente del Comitato memoria e giustizia per i nuovi desaparecidos fondato da Enrico Calamai, che ha come obiettivo individuare le responsabilità delle morti di migliaia di migranti nel Mediterraneo; è stato presidente della Coalizione italiana per le libertà e i diritti civili (Cild). Lo incontriamo mentre è di ritorno dal Kurdistan iracheno, è difatti anche uno dei massimi esperti della questione curda oltre che essere stato il difensore in Italia del leader curdo Abdullah Ocalan e di numerosi altri attivisti. A Salerni chiediamo alcune riflessioni sulla torsione autoritaria impressa alla nostra democrazia dal governo Meloni e in che modo la affronta una persona di legge che si occupa di tutela dei diritti umani.
«Più che torsione parlerei di involuzione autoritaria - sottolinea. E in tal senso due sono le questioni cardine del triennio meloniano: il decreto sicurezza e l’attacco all’autonomia della magistratura». Partiamo dal decreto sicurezza. «Una prima anomalia è un’anomalia ormai ricorrente, è quella per cui si interviene al di fuori della effettiva necessità ed urgenza prevista dalla Costituzione e si attribuisce all’esecutivo il potere legislativo. Poi c’è un’anomalia specifica per cui questo testo che viene inizialmente presentato come disegno di legge e per diversi mesi gira all’interno delle Camere, quindi non avendo all’origine per stessa ammissione del proponente quel carattere di necessità ed urgenza, ad un certo punto, di fronte alle difficoltà parlamentari, trasforma la sua natura e diventa un decreto legge». Su questo punto già è intervenuta la Corte costituzionale dichiarando in situazioni analoghe l’illegittimità dei decreti e quindi delle leggi di conversione ma la torsione-involuzione resta.
«Sul piano sostanziale, poi, va evidenziata una serie di interventi mirati su alcune fasce sociali particolari, penso ai detenuti in generale e alle detenute madri o incinte di etnia Rom. È stato inasprito il reato di rivolta penitenziaria con la punibilità di condotte di resistenza passiva, ovvero non violenta, ciò che non esisteva neanche nel Codice Rocco. E questo è un vulnus molto importante rispetto al nostro ordinamento in cui la resistenza consiste materialmente in atti di violenza o minaccia. Questo reato inizialmente era stato addirittura esteso anche ai centri di accoglienza per i migranti, cioè persone libere, e resta invece per i centri di rimpatrio. Si revoca inoltre l’obbligo - prima esistente - di rinviare l’esecuzione della pena per le donne incinte o con figli piccoli. Si tratta in questi casi di una norma tagliata, come dire, etnicamente, per nazionalità».
E poi c’è il versante che criminalizza il dissenso e Per continuare la lettura dell'articolo abbonati alla rivistaQuesto articolo è riservato agli abbonati
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