Il lavoro non basta più a vivere: in un Paese che si illude di crescere, la vera emergenza è che la fatica non paga

In Italia ci sono più di un milione di occupati in più rispetto all’inizio della legislatura, eppure la povertà resta esattamente dov’era. L’Istat fotografa un Paese che lavora di più ma vive peggio: 5,7 milioni di persone in povertà assoluta nel 2024, pari al 9,8% dei residenti, contro il 9,7% dell’anno precedente. Cresce anche la povertà relativa, che riguarda quasi 9 milioni di italiani.

È la smentita più chiara alla narrazione del governo Meloni, che da due anni celebra il “record di occupazione” come segno di benessere diffuso. I numeri raccontano altro: il 7,9% delle famiglie con un occupato è povero, come lo era nel 2023 e nel 2022. Tra gli operai il tasso sale al 15,6%, e nel Mezzogiorno tocca il 10,5%. Un terzo delle famiglie composte solo da stranieri è in povertà assoluta.

Mai così tanti, poi, i minori poveri: 1,3 milioni, il 13,8% del totale. È il dato più alto della serie storica. L’Italia del “lavoro che cresce” è anche l’Italia in cui le famiglie numerose sopravvivono con salari che non coprono l’inflazione, dove l’intensità della povertà resta inchiodata al 18,4%, e dove chi lavora spesso è solo un povero con meno tempo libero.

Dietro la retorica dell’occupazione, c’è la realtà del salario minimo mancato, dei contratti precari e del costo della vita che corre. Il lavoro non basta più a vivere: in un Paese che si illude di crescere, la vera emergenza è che la fatica non paga. E che il merito, tanto evocato dal governo, vale solo finché serve a giustificare le disuguaglianze, non a correggerle.

Buon mercoledì. 

 

Foto di Shivendu Shukla su Unsplash