Alla Festa del cinema di Roma il film di Sepideh Farsi racconta l’amicizia tra una regista iraniana in esilio e la fotoreporter palestinese Fatem Hassouna. Due sguardi femminili che resistono alla guerra con la forza delle immagini

Alla festa del cinema di Roma nella sezione Special Screenings è stato presentato Put your soul on your hand anda walk che vuol dire “metti la tua anima nelle tue mani e cammina”, frase pronunciata nel film da Fatem, una fotoreporter palestinese che vive al nord di Gaza. Il titolo del film nasce proprio da un rapporto epistolare moderno fatto di videochiamate tra due donne, la regista iraniana Sepideh Farsi e Fatem. Il film inizia con il 7 ottobre 2023, giorno dell’attacco di Hamas a Israele, la regista si ispira alla guerra che lei, oggi in esilio in Francia, ha vissuto da adolescente in Iran. In lotta con continue domande Farsi cerca di entrare a Rafah dall’Egitto per parlare con rifugiati palestinesi e grazie a un contatto conosce la fotoreporter ventiquattrenne Fatem Hassouna.

Da qui entriamo nel viaggio, fatto di videochiamate poco nitide, connessioni che saltano e un inglese essenziale ma che basta a farsi capire ed empatizzare. Diventano amiche, telefonata dopo telefonata e anche lo spettatore lo diventa delle due donne, tirando un sospiro di sollievo ogni qual volta la regista videochiama Fatma sotto le bombe di Gaza e lei risponde, appare nello schermo, è lì viva, incredibilmente sorridente perché come dice la fotoreporter “non possono sconfiggerci, non abbiamo niente da perdere”.
La differenza tra loro è che Sepideh è fuggita dall’Iran a18 anni, non potendoci più tornare altrimenti rischierebbe l’incarcerazione; Fatem vorrebbe conoscere il mondo ma non è mai uscita da Gaza, mentre sogna di poterlo fare su di lei a pochi metri cadono le bombe che uccidono i suoi vicini di casa, la sua nonna, i suoi amici, è impegnata a resistere, a trovare  del cibo, capire come ricaricare il suo telefono e i suoi strumenti da lavoro per poter continuare a fotografare quello che sta avvenendo.

E’ doloroso vedere il volto di Fatem cambiare con il passare dei mesi, il sorriso aperto e curioso dei primi tempi, l’ironia su come sistemare lo hijab, una battuta sulla voglia di cioccolata, tutto si fa sempre più assente, fino a comunicare alla regista di non riuscire a rispondere alle telefonate, in alcuni giorni, perché l’assenza di cibo la rende poco lucida e presentabile, parla di depressione e l’incapacità di alzarsi dal letto per il rumore degli aerei e dei droni sulla testa da mesi, 24 ore su 24 che ti massacrano il cervello, non ti fanno più pensare, piangere, reagire, ma ti rendono soltanto spettatori inermi.

La regia è composta dalle riprese che Sepideh fa con il suo il telefono, spezzoni di servizi giornalistici da Gaza, alternate tra le loro quindici conversazioni, avvenute tra aprile 2024 e aprile 2025, le fotografie che Fatem scatta ai gazawi, tra macerie e la ricerca di una “quotidianità” e canzoni mandate alla regista tramite vocali whatsapp.  E’ un reportage di campo ma tutti questi elementi lo rendono molto di più, siamo testimoni di una storia di umanità tra due donne che diventano amiche nonostante il contesto e che purtroppo non si incontreranno mai. Il film è stato presentato a Cannes in anteprima, poche settimane dopo Fatem non ha più risposto a quelle videochiamate, morendo nel cuore della notte.

Consola miseramente vedere che Fatem avesse saputo qualche giorno prima che il suo volto, le sue foto e tutta la sua storia sarebbero stati proiettati sullo schermo di uno dei più grandi festival del mondo, mi piace pensare che nelle notti più dure cara Fatem il tuo pensiero felice a cui aggrapparti fosse stato proprio questo. Noi siamo qui oggi ad applaudirti forte nella sala dell’Auditorium della Festa del cinema di Roma, con il cuore a pezzi e con il volto della regista Sepideh tra le sue ginocchia che commossa dall’affetto della platea sventola la bandiera della Palestina.

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