Se nemmeno il caldo estremo della scorsa estate aveva fatto cambiare idea a chi nega l’emergenza climatica, forse non c’era più niente da fare.
O forse sì. Perché di fronte all’evidenza – fiumi in secca, grandinate record, incendi in tutto il Mediterraneo, temperature oltre i 45 gradi – c’era ancora chi andava in tv o sui social a parlare di “cicli naturali” o a sostenere che, in fondo, “ha sempre fatto caldo”; chi minimizzava, chi derideva. O, peggio ancora, chi insultava e chiamava “gretini” tutti quelli che cercavano di mettere in guardia dagli impatti del riscaldamento globale.
Era (ed è) la disinformazione climatica, una delle più pericolose forme di negazionismo contemporaneo: subdola, travestita da opinione, spesso amplificata da giornalisti compiacenti, da sedicenti “esperti” o da interessi economici – fossili al 100% – che della crisi ecologica non vogliono sentir parlare.
La disinformazione sfrutta diverse argomentazioni, ma una costante della vulgata negazionista è quella di bersagliare il pensiero scientifico e di delegittimarne il metodo.
In questo modo, si legittimano posizioni prive di fondamento che vengono poi rilanciate da media accondiscendenti.
Il risultato è che, una volta instillato il dubbio, diventa difficile sfatarlo. E ancora più arduo, per chi non è del mestiere, orientarsi tra la mole di dati, grafici e statistiche spesso in contraddizione, capire a chi credere, distinguere la verità dalla menzogna.
Così, in nome di una presunta “politica dell’equilibrio”, si è finito per mettere sullo stesso piano scienziati e ciarlatani. Eppure il dibattito sul clima è chiuso da tempo: oltre il 99% della comunità scientifica concorda sul fatto che il cambiamento climatico esiste ed è causato dalle attività umane, in particolare dall’uso dei combustibili fossili.
Ma continuando a dare spazio a tesi infondate e a chi nega l’evidenza, si è alimentata l’idea che la questione fosse ancora aperta.
Il risultato? Che la transizione ecologica continua a essere rinviata – e con essa anche la nostra sicurezza, ambientale e sociale.
Negli ultimi mesi, di clima si è parlato sempre meno: l’attenzione pubblica e politica si è spostata altrove, eppure gli eventi estremi, le alluvioni e la siccità continuano a colpire le nostre vite. La disinformazione non è un dettaglio: rallenta le politiche di decarbonizzazione, confonde l’opinione pubblica e ci fa perdere tempo prezioso.
Con la petizione Stop alla disinformazione climatica. Per un’informazione responsabile abbiamo lanciato una scommessa: tornare a parlare di emergenza climatica, e a farlo in modo scientifico, trasparente, documentato.
La petizione è stata presentata il 28 ottobre alla Camera dei Deputati, nella Sala Stampa di Montecitorio, per chiedere un impegno concreto delle istituzioni contro la manipolazione e la distorsione del dibattito pubblico sul clima.
L’abbiamo fatto da fuori, come attivisti, ricercatori, giornalisti e cittadini preoccupati per il futuro, ma con l’auspicio che anche il Parlamento faccia propria questa battaglia, discutendo e sostenendo le nostre proposte, a partire dall’istituzione di un Osservatorio nazionale sulla disinformazione climatica e da uno spazio settimanale dedicato alla crisi climatica nei telegiornali della Rai.
Abbiamo chiesto ai media di verificare le fonti, dare spazio alla comunità scientifica e smettere di ospitare tesi negazioniste in nome di un falso equilibrio.
Abbiamo proposto la creazione di un Osservatorio nazionale sulla disinformazione climatica, indipendente e partecipato, per monitorare i contenuti dei media, segnalare distorsioni e favorire un’informazione basata su dati verificabili.
Abbiamo chiesto alle istituzioni di riconoscere che la disinformazione è una minaccia reale, anche per la sicurezza collettiva, e di sostenere un impegno pubblico costante.
In questa direzione, abbiamo chiesto che la Rai in quanto servizio pubblico, garantisca uno spazio settimanale dedicato alla crisi climatica nei principali telegiornali, per aggiornare, informare e coinvolgere i cittadini.
E abbiamo chiesto ai cittadini di pretendere un’informazione all’altezza della crisi che stiamo vivendo, capace di orientare scelte consapevoli e di costruire un futuro comune più giusto e vivibile.
Il mondo sta attraversando una fase complessa: tra crisi geopolitiche, riarmo, indebolimento del multilateralismo, affaticamento democratico e ritorno di nazionalismi e pulsioni autoritarie – anche in Europa e negli Stati Uniti.
In questo scenario, il cambiamento climatico resta la sfida centrale del nostro tempo, ma non potremo affrontarla se i media smetteranno di raccontarla, o peggio, continueranno a distorcerla.
I giovani hanno dimostrato in questi mesi una forza straordinaria nel mobilitarsi per la giustizia e i diritti umani: quella stessa energia è essenziale per riportare il clima al centro del dibattito pubblico.
Solo con il loro impegno possiamo sperare di cambiare davvero le cose.
L’autore: Giacomo Pellini è giornalista ed esperto dei temi dell’ambiente e del clima. È autore del libro Contro i mercanti del clima, edito da Left




