In fondo la manovra è tutta qui: un governo che si toglie il cappello davanti ai più ricchi e volta le spalle a chi lavora. I numeri lo hanno detto prima della piazza: Istat, Bankitalia e Corte dei Conti hanno definito la legge di bilancio socialmente ingiusta. Il taglio dell’Irpef premia soprattutto l’8% dei contribuenti con redditi più alti: secondo l’Ufficio parlamentare di Bilancio, il 50% dei benefici finisce nelle tasche di uno su dieci. Agli operai arrivano in media 23 euro l’anno, agli impiegati 123, ai pensionati 55. Ai dirigenti 408. È la fotografia di un Paese che viene raccontato come “medio”, ma in cui la maggioranza scivola verso il basso mentre una minoranza viene protetta dal potere.
La Cgil ha proclamato lo sciopero generale del 12 dicembre. Chiede di finanziare sanità, scuola e salari, la carne viva della vita quotidiana. Propone una patrimoniale leggera: un contributo dell’1% sui patrimoni sopra i due milioni di euro. Parliamo di circa 500 mila persone per 26 miliardi di euro. Risorse reali, senza magie contabili, per pagare asili, medici, rinnovi contrattuali, liste d’attesa che non finiscono.
La risposta del governo è stata una risatina: «Scioperano di venerdì». La battuta al posto della politica. La stessa ironia disinvolta di chi non ha mai dovuto guardare il prezzo del dentifricio o del pane.
C’è una metro di distanza tra chi deve scegliere se pagare l’affitto o il dentista e chi governa come se il Paese fosse un club ad accesso riservato. In questa manovra lo Stato non redistribuisce: accompagna chi sta già in alto e lascia che il resto scivoli. È una scelta. Consapevole. E quella scelta è contro la maggioranza degli italiani. Lo dicono i numeri, mica i giornalisti.
Buon lunedì.
Consiglio dei ministri foto gov




