Sottopagate rispetto agli uomini ed esposte ricatti e violenze, sono 300mila le donne che lavorano nell’agroalimentare. Ecco cosa emerge dal rapporto Dis-uguali elaborato dall’osservatorio Placido Rizzotto con Flai-Cgi

Metà dell’umanità, le donne, trattata come una minoranza da discriminare e sfruttare. È questa una delle piaghe sociali più evidenti dei nostri tempi ma che resiste dai secoli delle polis greche quando il ruolo femminile nella società era assolutamente marginale e limitato al “dovere” di procreare. Poco è cambiato anche quando secoli dopo è stato loro “concesso” di avere un lavoro retribuito e laddove questo accade è segnato da disparità di ogni genere rispetto a quanto è riconosciuto, a parità, di mansioni, ai colleghi uomini.

In pochi ambienti questo squilibrio appare marcato quanto nel lavoro agricolo. E l’Italia non sfugge da questa regola. Ogni giorno 300mila donne italiane e straniere, quasi un terzo della forza lavoro dell’agroalimentare, sono occupate nei campi ma restano invisibili agli occhi della società, della politica, dei media e persino della ricerca accademica. E questa invisibilità (o calcolata indifferenza?) le espone a sfruttamento, svalutazione, emarginazione. «Le donne che lavorano in agricoltura subiscono spesso condizioni di sfruttamento ancora peggiori e insostenibili di quelle degli uomini», sottolinea Giovanni Mininni, segretario generale della Federazione lavoratori agro-industria Flai-Cgil.

«In molti casi su di loro grava anche il peso del lavoro di cura. I salari delle lavoratrici agricole, inoltre, sono sensibilmente più bassi di quelli dei lavoratori. E i dati confermano le parole del segretario del sindacato lavoratori agricoli. La maggior parte delle donne impiegate in agricoltura opera in condizioni di pluri-sfruttamento, senza alcun reale riconoscimento del proprio valore. Secondo il rapporto Dis-uguali curato dall’osservatorio Placido Rizzotto, di cui è responsabile Jean René Bilongo, in collaborazione con Flai-Cgil, nel 2023 la retribuzione media annua delle lavoratrici è stata di circa 5.400 euro contro 7.200 euro degli uomini. Il divario non è una semplice anomalia statistica, ma una realtà strutturale, radicata tanto nelle piccole aziende rurali quanto nelle grandi imprese del settore agroalimentare. Le donne sono concentrate nei compiti meno valorizzati - raccolta, impacchettamento, selezione - lavori considerati “di supporto”, come se precisione, resistenza, cura e pazienza fossero virtù minori rispetto alla forza. Ma il divario salariale si accompagna a condizioni di lavoro spesso precarie, con contratti di breve durata, salari orari inferiori e accesso limitato a tutele, formazione e strumenti di emancipazione economica.

Le donne che lavorano in agricoltura

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