La guerra ibrida è come il burro: ammorbidisce la retorica, lubrifica la costruzione del nemico e rende più saporito il gusto amaro del bellicismo. Se con qualche tocco riesci a portare in tavola guerra ibrida tutti i giorni puoi permetterti una divisione manichea tra buoni e cattivi, puoi martellare gli avversari politici senza bisogno di stare nel merito delle cose. È un balsamo, la guerra ibrida.
La guerra ibrida russa occupa lenzuolate intere sui giornali e accese discussioni nelle trasmissioni televisive. Ce ne sarebbe un’altra, guardando bene, che però rimane in sordina. Lo dicono le carte, mica i pro-pal: nel bilancio 2026 Israele ha portato a 2,35 miliardi di shekel, poco meno di 700 milioni di dollari, il budget per la sua propaganda all’estero, quadruplicando lo stanziamento del 2025, che a sua volta era stato presentato come venti volte superiore ai livelli degli anni precedenti. I fondi saranno gestiti in larga parte dal ministero degli Esteri e da altre strutture governative.
L’hasbara del governo Netanyahu punta a riabilitare l’immagine un po’ ammaccata di uno stato guidato da un ricercato internazionale che negli ultimi anni si è dedicato al genocidio dentro Gaza, all’eradicamento dei palestinesi in Cisgiordania e a svignarsela da un processo per corruzione.
Da cittadini italiani e europei si dovrebbe essere piuttosto preoccupati su come quei 620 milioni di euro possano condizionare le scelte politiche, militari e industriali della nostra classe dirigente. Pensandoci bene ci si dovrebbe attrezzare per riconoscere il parlamentare, il giornalista o l’influencer lautamente ricompensato per le sue carezze a Netanyahu. Questa guerra ibrida invece non stuzzica, non indigna, anzi addirittura scompare.
È il doppio standard, bellezza. L’ingrediente fondamentale per le guerre ibride, Come il burro.
Buon giovedì.




