In Siria, quando finirà il conflitto, la pacificazione nazionale non può che passare per l’uscita di scena di entrambi gli artefici della devastazione: il regime di Assad e i fanatici dell’Isis

«La mia presenza era diventata un alibi. Né in Ruanda, né nell’ex-Jugoslavia ho mai visto cose così gravi come quelle che stanno accadendo in Siria: è una grande tragedia, non esiste ancora un tribunale». Con queste amare considerazioni, Carla Del Ponte ha annunciato la sua decisione di lasciare la commissione d’inchiesta Onu sulla Siria. Quella del magistrato svizzero, che è stata procuratrice capo del Tribunale penale internazionale dell’Aja per l’ex Jugoslavia (1999-2007) e per quello che si è occupato del genocidio in Ruanda, è l’ammissione di una sconfitta. Personale, certo, ma che nelle motivazioni che la sottendono chiama in causa le responsabilità di una comunità internazionale che ha osservato nel silenzio, complice, o fomentando una guerra per procura, il martirio di un popolo e la distruzione di uno Stato.

Istituita nel 2011, la commissione – composta da tre membri – ha visto l’ingresso di Carla Del Ponte nel 2012. Pur non potendo entrare nel Paese – e limitandosi quindi a interviste, foto e referti – negli anni ha documentato le atrocità commesse da entrambe le parti durante la guerra. Le indagini sono state a 360 gradi: armi chimiche, attacchi ai convogli umanitari, assedi che hanno decimato migliaia di civili. I loro rapporti, però, non hanno fatto breccia in un consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite ostaggio del veto russo che, ad esempio, ha sempre mostrato la ferma intenzione di non coinvolgere la Corte penale internazionale dell’Aja.

Con le sue dimissioni, Carla Del Ponte ha voluto denunciare sette anni di impunità, chiamando in causa le responsabilità delle due potenze globali, Russia e Usa e dei loro leader, di ieri (Obama) e di oggi (Putin e Trump). In un Paese ridotto a un cumulo di macerie, parlare di “vittoria” è un oltraggio alla memoria delle vittime oltre che un insulto alla ragione. Perché tutti hanno perso in Siria. Perché in Siria è morta l’umanità. Perché in Siria potenze globali e regionali hanno giocato con la vita di una intera nazione, mettendola in ginocchio, ipotecando il futuro delle generazioni a venire…

L’articolo di Umberto De Giovannangeli prosegue su Left in edicola


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