Liberi e uguali, Potere al popolo e M5s d’accordo nell’eliminare la legge 107, la famigerata riforma Renzi-Giannini che ha prodotto effetti devastanti nell’istruzione pubblica. Ma le differenze affiorano. E si affaccia anche un’alternativa: la nuova legge di iniziativa popolare

La ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli l’aveva annunciata a settembre 2017 proprio su Left: «Una Conferenza programmatica sulla scuola entro la fine dell’anno che chiami in causa tutti i soggetti coinvolti, al di là del colore politico, dell’orientamento o di qualsiasi divisione partitica». Ma non c’è stata nessuna Conferenza programmatica e, anzi, l’anno si è chiuso mestamente, tra la polemica sui licei brevi, l’attesa del contratto nazionale dei docenti e la protesta delle maestre cui il Consiglio di Stato ha ricordato che occorre la laurea per insegnare. Nessun dibattito pubblico, nessuna Costituente della scuola come aveva proposto a settembre Francesco Sinopoli, segretario Flc Cgil.

E invece di riflessioni approfondite l’istruzione pubblica avrebbe un gran bisogno. La Buona scuola, partita al suono della grancassa – «una rivoluzione strepitosa», l’aveva definita Matteo Renzi nel 2015 davanti alle celebri slides -, si è rivelata la prova evidente di un fallimento che però continua a provocare danni. E non solo a livello organizzativo, come si è verificato per il caos dei trasferimenti degli insegnanti o per l’improvvisazione che ha caratterizzato l’alternanza scuola lavoro. La legge 107 ha introdotto un’idea di scuola “aziendalistica”, appiattita sul lavoro e con un input meritocratico che mina la condivisione e la collegialità delle decisioni da prendere. Adesso, calato il sipario sul governo Gentiloni, erede delle politiche scolastiche renziane, cosa ne sarà di…

L’articolo di Donatella Coccoli prosegue su Left in edicola


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