Cessate il fuoco immediato. Sono le Nazioni unite a chiederlo stavolta. «Non possiamo più rimanere in silenzio». Con queste parole il coordinatore umanitario regionale Panos Moumtzis ricorda al mondo ciò che il mondo ha dimenticato: il “drammatico deterioramento” della situazione in Siria. La percezione che la guerra nel Paese di Assad sia finita o stia per finire è sbagliata, con tre processi di pace separati – a Ginevra, ad Astana e a Sochi – i risultati sperati non sono stati raggiunti.
Esodo di massa e assedi. Fame. Bombe. I morti sono più di 500mila, secondo le ultime stime attendibili, che risalgono però al 2016. L’Onu ha chiesto ieri il cessate il fuoco immediato per un mese: «la situazione è estrema», «una situazione mai vista prima», peggiore di quella dei precedenti periodi di guerra, che dura ormai da quasi otto anni.
Nella periferia di Damasco e a Ghouta est, roccaforte dell’opposizione ad Assad, continuano a esserci 400mila persone senza accesso al cibo, medicine, acqua, dallo scorso novembre. I bombardamenti dei caccia russi e siriani continuano, come nella provincia di Idlib, dove due milioni di persone si sono rifugiate da altre zone del paese. Gli aerei russi attaccano dall’alto, le divise iraniane sono sul terreno: da Idlib 300mila persone sono scappate da metà dicembre. In totale sono tredici milioni le persone che hanno bisogno d’aiuto nel paese.
La scala di sofferenze in Siria ha raggiunto un livello senza precedenti. L’accesso agli aiuti è bloccato per la maggior parte della popolazione e gli sfollati interni sono in crescita, ribadiscono le Nazioni unite, che negli ultimi due mesi non sono riuscite a far arrivare i convogli degli aiuti. «C’è la percezione errata che le aree di de-escalation siano in pace, stabili. Ci sentiamo oltraggiati, gli sviluppi sono così tragici che non possiamo più rimanere in silenzio» ha concluso Moumtzis.