Sei una bambina, un bambino, un adolescente o una donna che vive in Italia? Peggio per te. Nella classifica del livello di inclusione di donne e popolazione sotto i 18 anni in 171 Paesi, l’Italia è scesa al 27esimo posto, ultimi tra i Paesi Ue. Questa è la situazione fotografata dai dati dello studio redatto da WeWorld, una onlus impegnata nella difesa dei diritti di donne e bambini in tutto il mondo.
La ricerca rivela in modo impietoso un’Italia peggiora: la stessa ricerca condotta nel 2015 ci aveva posto alla 18esima posizione. In due anni abbiamo perso nove posizioni, la peggior regressione di classifica per una nazione Ue. Il Bel Paese è peggiorato sotto ogni punto di vista: il contesto in cui donne e bambini vivono è meno sicuro, il numero delle persone colpite da disastri naturali è aumentato e l’impoverimento delle famiglie pregiudica il benessere dei minori.
In Italia, secondo i dati di WeWorld, solo l’8% dei figli di genitori senza diploma si laurea, contro il 68% di chi invece è figlio di genitori laureati. Nel mezzogiorno inoltre, la dispersione scolastica è superiore al 20% e un milione e 292mila giovani sotto i 18 anni vive in condizioni di povertà. Ancora più a rischio di dispersione scolastica i giovani privi di cittadinanza italiana, che rappresentano il 9,4% del totale degli studenti. In Europa, meglio di noi fanno anche l’Estonia, la Repubblica Ceca, la Lettonia, la Lituania e la Polonia. Anche se prendiamo in esame i Paesi del G20 la situazione non migliora, siamo infatti tra i sei Paesi con la peggior performance.
Lo studio è stato condotto identificando 17 indicatori, divisi in tre categorie, che rappresentano tutti gli aspetti che partecipano allo sviluppo della persona, sia professionale che personale, e la sua inclusione nella società. Nella categoria contesto troviamo gli indicatori: ambiente, abitazione, conflitti e guerre, potere e democrazia, sicurezza e protezione, accesso all’informazione e genere. Delle restanti due categorie, una si riferisce alle donne e l’altra a bambini e adolescenti. Per le donne, gli indicatori valutati sono: salute, educazione, opportunità economiche, partecipazione politica e violenza di genere. Nel caso di bambini e adolescenti, sono stati presi in considerazione: la violenza sui minori, il capitale economico, il capitale umano, l’educazione e la salute.
L’aspetto su cui più si è concentrata la ricerca è l’educazione. Elemento fondamentale per lo sviluppo della persona, lo studio sottolinea come l’istruzione sia un aspetto cruciale nel miglioramento di un Paese. Un’istruzione migliore e più diffusa è imprescindibile se si vogliono appianare le differenze, che sussistono tra uomini e donne, bambini e adolescenti, nella garanzia dei diritti fondamentali di eguaglianza e pari opportunità.
WeWorld ha identificato cinque barriere principali da eliminare per assicurare l’accesso ad un’educazione inclusiva. La scarsa nutrizione, che limita o impedisce del tutto la possibilità di frequentare la scuola. La discriminazione di genere, sia quella presente nelle leggi di alcuni Stati, sia quella dovuta ad arretratezza culturale. La violenza nelle relazioni sociali e familiari. La migrazione, che interrompe gli studi. Infine c’è la barriera della povertà educativa, con cui si intende non solo la qualità dell’insegnamento, ma anche la possibilità di svolgere attività educative che non sono limitate allo studio scolastico, come può essere visitare siti archeologici e musei o leggere libri. In combinazione con la povertà economica, la povertà educativa porta all’ereditarietà delle condizioni di esclusione sociale.
Il Paese più inclusivo, secondo WeWorld, è l’Islanda, seguita dalla Norvegia, poi Svezia, Danimarca, Slovenia e Finlandia. Le grandi potenze occidentali come Germania, Regno Unito, Francia, Canada e tutto il resto d’Europa – ad eccezione di Portogallo e Spagna – sono tutte tra le prime venti posizioni. L’unica grande potenza che non compare tra le posizioni più alte della classifica sono gli Usa, che condividono con noi italiani la 27esima posizione.
All’altra estremità della graduatoria troviamo tutta l’Africa, il Medio oriente e gran parte del Sud Est asiatico. In fondo alla classifica c’è la Repubblica centrafricana e, subito sopra, Ciad, Mali e Sud Sudan. Su 171 Paesi monitorati, in 100 di questi WeWorld ha identificato forme insufficienti di inclusione o gravi forme di esclusione, e in questi Paesi si concentra il 59% della popolazione mondiale.
È interessante notare come la maggior parte dei migranti sbarcati sulla nostra penisola nel 2017 – stando ai dati dell’Unhcr – provengano da Paesi che occupano alcuni tra gli ultimi posti della classifica. La maggior parte dei migranti proveniva dalla Nigeria, che troviamo alla posizione 156. Ci sono poi gli ivoriani, il cui Paese natale occupa la 155esima posizione, e infine quelli che provengono dalla Guinea, il loro Paese è il 154esimo.
Investire nell’istruzione – come conferma il report – è il modo migliore per portare fuori dalla povertà le persone, ed evitare che il fenomeno diventi ereditario.