I poveri in Italia, quelli che guadagnano da zero euro all’anno fino a quindicimila euro, pagano più tasse di Apple. Come scriveva ieri Repubblica l’aliquota fiscale più bassa qui da noi è del 23% mentre l’azienda Usa ha chiuso il trimestre con un tax rate del 14,5% grazie soprattutto alla morbidezza dei governi nei confronti delle multinazionali (lottare contro i poveri fingendo di lottare contro la povertà è una costante di questi tempi).
Parliamo, per capirci, di un’azienda che nell’ultimo trimestre ha registrato utili per 13,8 miliardi di dollari. Con buona pace dei contribuenti, dei clienti ma soprattutto con buona pace di una politica (italiana e internazionale) che usa la parola uguaglianza come se fosse un souvenir di cui accontentarsi, uno di quei colossei in plastica ruvida che è buono per comprarsi la sensazione di essere passati almeno una volta nella vita da Roma.
Il tema, se ci pensate, è enorme perché contiene tutto: la cosiddetta crisi economica che altro non è che l’incapacità (o meglio, la mancata volontà) di far pagare di più a chi ha di più, c’è dentro la rabbia dei lavoratori che si sentono sfruttati non solo sul luogo di lavoro ma anche e soprattutto dalla codardi di una politica assente, c’è dentro il capitalismo più becero che in nome della libertà consente di comprarsi i diritti e i doveri come se fossero merce di scambio.
E c’è il silenzio, tutto intorno, della politica italiana, quella che sulle indignazioni ha costruito i suoi bacini di voti negli ultimi anni è che è talmente vigliacca da non riuscire mai a prendersela con i prepotenti ma solo con gli straccioni. E la guerra tra poveri continua.
Buon giovedì.