Il parlamento portoghese ha bocciato il 29 maggio quattro disegni di legge su eutanasia e suicidio assistito prodotte da altrettanti partiti di sinistra, fra cui il Partito Socialista al governo. Nell’eutanasia, è bene ricordarlo, è un soggetto esterno a procurare il decesso del malato, mentre nel suicidio assistito è il malato stesso a procurarselo, sebbene con l’aiuto, spesso indispensabile, da parte di un soggetto esterno. La Chiesa si era attivata in massa, con la conferenza episcopale portoghese che ha distribuito un milione e mezzo di volantini, e il cardinale di Lisbona Manuel Clemente che aveva chiesto espressamente ai deputati di fermare tutti i disegni di legge. Decisivo è risultato il voto contrario del principale partito di destra, ma va segnalata anche la contrarietà del partito comunista portoghese. Nonostante la mobilitazione del fronte del no, è stata una vittoria di misura, con uno scarto di appena 15 voti nel Parlamento di un Paese che fino a pochi anni fa era considerato una roccaforte del cattolicesimo, nato sulle ceneri di una delle più longeve dittature d’Europa, e che qualche settimana fa ha visto trecentomila partecipanti alla messa per la ricorrenza dell’apparizione della Madonna di Fatima.
Il Portogallo, come risulta dalla storia di copertina di Left (n.20 del 18 maggio), si conferma un laboratorio politico da seguire con attenzione anche in tema di riconoscimento dei diritti civili. Nonostante l’esito del voto del 29 maggio. Soprattutto grazie all’impegno del Bloco de ezquerda, nato dall’unione di varie formazioni di sinistra, oggi il Paese ha ad esempio una legislazione molto avanzata in tema di matrimonio e adozione per le coppie omosessuali.
Il disegno di legge sul fine vita del Partito socialista, al quale si dava il maggior credito fra i quattro, conteneva elementi interessanti e innovativi persino a paragone con Paesi europei – come il Belgio e soprattutto l’Olanda – che vantano in questo campo una legislazione rigorosa e avanzata. La possibilità di attuazione del suicidio assistito avrebbe infatti riguardato, si legge, «pazienti in stato di sofferenza estrema, con disabilità intrattabile o malattia fatale e incurabile». La procedura sarebbe stata inoltre riservata a chi possiede la cittadinanza del Paese (come in Olanda e a differenza della Svizzera, nella quale però è consentito il suicidio assistito ma non l’eutanasia). È quindi evidente come la definizione del campo di applicazione apparisse molto precisa e ben delimitata. Inoltre, il disegno di legge prevedeva la necessità di firma della richiesta da parte di due medici, ossia uno specialista della malattia in questione e uno psichiatra, e il successivo invio del caso a un’apposita commissione di valutazione.
Ovviamente si trattava di una proposta iniziale che, si presume, sarebbe stata successivamente elaborata attraverso un iter parlamentare, ma ci sono elementi interessanti e comunque degni di grande attenzione. Grazie all’accurata precisazione del campo di applicazione e alla sistematica valutazione psichiatrica di tutte le richieste, si può infatti presumere che sarebbe stato drasticamente ridotto, se non addirittura azzerato, il rischio di applicazione della procedura in pazienti affetti esclusivamente da malattie psichiatriche, quali la depressione, dunque in assenza di patologie fisiche. Nei Paesi dove eutanasia e/o suicidio assistito sono legali questo rischio in effetti esiste: in Olanda – come documentato su Left n.16 – ogni anno una pur ridotta percentuale di pazienti psichiatrici accede alle procedure di questo tipo, e per la Svizzera basti ricordare i casi di pazienti italiani affetti da depressione che si sono rivolti a strutture oltre il confine elvetico, come Lucio Magri o il giudice Pietro D’Amico, la cui figlia sta oggi combattendo una battaglia legale inerente il suicidio assistito di suo padre.
Quella di ieri è una sconfitta, quindi, solo sul piano politico. Il laboratorio portoghese si conferma un cantiere di cultura sociale capace di costruire proposte originali e innovative anche sul piano dei diritti civili, come quello a una morte dignitosa in presenza di malattia fatale o gravemente invalidante. Pur bocciato, il disegno di legge portoghese potrebbe rappresentare nel prossimo futuro un modello utile per altri contesti nazionali, compreso il nostro. In Italia, dopo l’approvazione della Legge 219 del 22 dicembre 2017 sulle disposizioni anticipate di trattamento (note come “biotestamento”), il prossimo passo in agenda è fissato per il 23 ottobre, con l’udienza in Corte Costituzionale per l’analisi della questione di legittimità dell’articolo 580 del codice penale in materia di aiuto al suicidio, sulla scia del clamore evocato dalla vicenda di Fabiano Antoniani e dal processo a Marco Cappato, che lo aiutò a recarsi in Svizzera per sottoporsi a suicidio assistito. A giudicare da quello che ci riserva la scena di queste ore, nel nostro Paese però il contesto politico potrebbe essere molto diverso da quello che ha consentito la nascita del “laboratorio portoghese”. Incrociamo le dita, e non solo per questo.
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