Come ricostruire la sinistra facendo l’opposizione al governo populista? Provo a dire alcune idee, per punti sintetici.
Primo: avere coscienza che la sinistra è destinata ad essere sempre in difficoltà, rispetto al “sentire generale e diffuso”. Per forza: se il senso comune, la scala di valori di una società, come ci insegna Marx, riflette i rapporti di forza di classe, è ovvio che saranno funzionali al mantenimento delle gerarchie sociali stesse. Il senso comune, quindi, è spesso avverso alla sinistra, anche quando sembra essere avverso anche all’establishment. Ma gli è avverso in una maniera ad esso innocua: in una parola, le classi dominanti, riescono a far sfogare il malcontento in un vicolo cieco. E lo fanno proprio attraverso i populismi, i nazionalismi, i fascismi, che servono a spostare l’obiettivo, contro lo straniero, il diverso, anziché contro lo sfruttamento.
Secondo punto. Quindi, la sinistra deve per prima cosa denunciare che liberismo globalista e nazionalismo populista sono fintamente alternativi, in realtà sono funzionali l’uno all’altro.
Non c’è un “meno peggio”: sono entrambi avversari. Avere questa chiarezza e chiudere con ogni forma di strabismo è fondamentale per ricostruire la nuova sinistra. Dobbiamo essere totalmente estranei ad entrambi questi pensieri antipopolari e reazionari, che si legittimano l’un l’altro per contrapposizione.
Terzo punto. Niente “fronti democratici”, quindi, niente ammucchiate anti populiste, nessun cedimento a ricatti morali (“se ci dividiamo vincono i fascisti!”): nostro compito è costruire in Italia una sinistra antiliberista, in rete con le altre sinistre antiliberiste europee e mondiali, ricostruendo dal basso attraverso nuove pratiche una nuova classe dirigente. Lasciamo invece al loro destino Pd, Leu, e compagnia: pieno rispetto, ma sono altro da noi.
Quarto punto. In nessuna maniera dobbiamo farci incanalare sul terreno di governo e Pd: la loro contrapposizione tra cattivismo anti-migranti e anti-diversi, e buonismo benpensante da benestanti, è per noi una trappola mortale. Noi dobbiamo invece provare a dettare l’agenda, a mettere all’ordine del giorno i nostri temi. Ci sono mille morti l’anno sul lavoro, 80mila per l’inquinamento di aria ed acqua, 5 milioni di poveri assoluti. Se riusciamo a parlare solo delle decine di fatti di cronaca legati a immigrati o Rom, ovvero se in una parola accettiamo la provocazione e la rissa, abbiamo perso prima di iniziare.
Quinto punto. Dobbiamo costruire anche una speranza positiva. E la speranza oggi può avere un solo nome: Eco-socialismo. Giustizia sociale ma non in un orizzonte consumista e materialista, ma all’interno di un cambiamento nella scala di valori, nei tempi della vita, nelle relazioni umane. C’è un’economia nuova, un modo di vivere nuovo, fatto di innovazione ecologica, artigianato di qualità, ritorno alla vita rurale, intelligenza, sostenibilità, mutualismo: scelte già praticate da decine di migliaia di persone, che noi dobbiamo sostenere e far emergere.
Sesto punto. Non contrapporre diritti sociali e diritti civili. A parte che i diritti civili sono quasi sempre anche diritti sociali: provare la differenza tra essere gay facendo lo stilista a Milano o l’operaio a Termini Imerese, o tra aver bisogno di un fine vita dignitoso avendo o non avendo i soldi per andare in Svizzera a pagamento. E comunque è una contrapposizione reazionaria: “siccome c’è da pensare al pane quotidiano, accantoniamo i diritti borghesi”. No invece: noi pensiamo al pane quotidiano, e vogliamo anche la dignità dei diritti civili.
Il pane e le rose, insomma.