Fernando Arrabal è nato nel 1932 a Melilla, città autonoma spagnola vicino a Gibilterra, anche se sulle coste del Marocco. Di recente sono passati di lì molti dei flussi migratori verso l’Europa e adesso è circondata da una rete di metallo alta sei metri, per impedire il passaggio dei migranti, che si accalcano alle zone di confine.
Arrabal in questo caldo agosto cammina per le vie di San Miniato, in provincia di Pisa, è ospite del Festival del pensiero popolare, che l’ha premiato con un bel quadro di Stefano Renieri, nel giorno dedicato a San Rocco il 16 agosto. Intorno a quella data in molti l’hanno incontrato nelle strade assolate, bambini e adulti, attirati dal suo abbigliamento a dir poco singolare. Anche alcune coppie, sulle scale che scendono dal prato del duomo alla bella piazza del seminario, lo incrociano, interloquiscono con lui. Arrabal li “importuna”, si avvicina nient’affatto intimidito, è un piccolo folletto surrealista, porta gioia tra le persone, gioca con loro:
– Tu sei fidanzato de ella? – dice.
– E tu? Sei il suo amante? Vi divertite insieme?
Questi passanti, tutti italiani, sono evidentemente un po’ imbarazzati, forse anche divertiti. Qualcuno risponde, accettando la provocazione: – Sì mi sarebbe piaciuto, è un bell’uomo, ma si è sposato con questa mia amica!
Arrabal ride, e insiste: – E allora? Qual è il problema?
È uno gnomo, un Pan provocatore, non a caso nei primi anni sessanta, fu uno dei tre fondatori di un Movimento Panico che ancora si stenta a definire, insieme ad Alejandro Jodorowski e a Roland Topor.
Già lo racconta il suo vestire: ha una camicia blu, coperta di stelle, come i cieli di San Miniato, uno straccetto al collo, forse un residuo di cravatta, poi sulle spalle uno zainetto rosso. È un eterno studente in patafisica, la scienza delle soluzioni immaginarie.
Arrabal è Trascendente Satrapo dei seguaci di Alfred Jarry. È stato nominato nel 1990 a questa elevatissima carica, certo per meriti sul campo. Ha anche pantaloni stretti che gli avvolgono le due piccole gambe da pinocchietto, indossa un paio di scarpe di pelle lucida. Sulla testa, ed è la parte più evidente, ha una serie di occhiali, tre a volte quattro, delle forme più strane. Durante la giornata ne indossa anche altri e quando viene accompagnato al supermercato, si accorge di essersene dimenticato qualcuno in albergo e insiste per tornare indietro.
Nella sua follia riesce ad essere straordinario, è un artista, un uomo che ama il pensiero surreale, non a caso è stato amico di Tristan Tzara, di André Breton, di Andy Wharol, padri delle correnti più immaginifiche del XX secolo. Quando gli facciamo delle domande, lui ci risponde in modo preciso e puntuale, molto compito, ma le sue risposte sono a dir poco strane, un po’ spiazzanti: è un cappellaio matto, è difficile credergli fino in fondo. Anche quando racconta di Pirandello, uno dei suoi miti: nel 1934 ottenne il premio Nobel, due anni dopo la nascita di Arrabal. Subito dopo Pirandello fu intervistato sul futuro del teatro. Era in Sicilia, e lui aprì il braccio verso destra. Il giornalista pensò a Tripoli, che allora era colonia italiana, ma Pirandello indicava appunto Melilla, la città natale del nostro straordinario interlocutore.
– Almeno – dice Arrabal – è questo che diceva il mio amico Borges, che mi chiamava “Arrabal l’africano”. Il film che gli ho dedicato è quello che amo di più. Di sette che ne ho fatti – tutti capolavori – è quello che mi è venuto meglio.
San Miniato qualche giorno prima ha applaudito il bellissimo “L’albero di Guernica”, con una folgorante Mariangela Melato, ad interpretare una pasionaria nella guerra civile spagnola. Il film è del 1975, Franco era ancora al potere, e Arrabal era considerato una dei quattro o cinque nemici della patria più pericolosi. – In molti – ci dice ancora – hanno dichiarato di voler scrivere al generalissimo, di questo e di quello, ma l’unico che l’ha fatto davvero sono stato io, condannando la dittatura di Franco, tutto il male che ha fatto alla Spagna e alla mia famiglia in particolare.
Per questa lettera pubblica, analoga a quelle che lo stesso autore ha destinato a molti altri dittatori del XX secolo, Arrabal fu processato arrestato e condannato al carcere, con l’opposizione dei più grandi intellettuali, che si schierarono a suo favore. In testa a tutti Samuel Beckett che ne esaltò i meriti letterari: considerava il teatro di Arrabal parente stretto del suo “Aspettando Godot” e di tutto il teatro dell’assurdo.
Adesso Arrabal è un giovane di ottantasei anni, ancora attivissimo, soprattuto nei teatri di tutto il mondo. Qui a San Miniato sono arrivate le sue ultime opere – “Sarah e Victor” e “Dalì VS Picasso” – ambedue con la regia di Sergio Aguirre. Anche per questo lo intervistiamo sul qui e ora, per sapere cosa pensi dell’attuale crisi, il periodo cupo che stiamo attraversando.
La risposta, come al solito, ribalta la domanda: – Ma quale periodo cupo, mai come ora siamo stati così bene, dal punto di vista creativo e intellettuale. Del resto in tutte le epoche, anche nella Grecia classica si parlava di crisi nera, irreversibile! Quando si parla di crisi, sui giornali, ai talk show televisivi, allora io sono felice, perché è un momento di grande creatività. Dico questo soprattuto per i giovani, è come se le pagine tornassero ad essere bianche e loro hanno penne e pennelli, colori, insomma tutti gli strumenti giusti per riempirle. La società di oggi sta crollando (anche realmente: vedi il ponte di Genova!), e allora è il momento di cambiare; mi sembra che il periodo sia simile a quello che abbiamo vissuto alla metà degli anni 60, quando tutto sembrò potere rinnovarsi, anche nel teatro: caos totale, ribaltamento del pubblico, ballerine in scena nude e un poeta che depilava il pube della propria compagna…
Il Festival del pensiero popolare / Palio di San Rocco pellegrino è arrivato al decimo anno di vita. Quest’anno il festival era interamente dedicato a Fernando Arrabal, nove giorni di incontri, letture, improvvisazioni teatrali, spesso dedicate al teatro panico, film come “L’albero di Guernica” e spettacoli teatrali, “Dalì VS Picasso” e “Sarah & Victor”, tutto di Arrabal, con qualche escursione verso i suoi colleghi di cordata, cioè Alejandro Jodorowski e Roland Topor. Le regie, almeno quelle degli spettacoli principali, erano di Sergio Aguirre che con il Centro di Iniziative Teatrali, fondato trent’anni fa con Manola Nifosì, è stato premiato con il San Rocco 2018, per la diffusione della poesia e del teatro spagnolo. Naturalmente a fianco di quello che senza dubbio è il suo poeta preferito, naturalmente Arrabal. Importanti tutti gli interpreti, ma qui si segnala Mila Moretti, la figlia del grande Mario, tra l’altro fondatore del Teatro dell’Orologio di Roma. Su di lei è stato proiettato il videoritratto, firmato Ricky Farina, che sul blog del Fatto Quotidiano ha realizzato “Mila Moretti, un’attrice pericolante”, che racconta i problemi fisici, ma anche l’eccezionale forza di questa donna, per la quale Arrabal ha scritto il suo “Sarah & Victor”.
La foto di Fernando Arrabal in apertura è di Antonio Fernandez,