Gli adolescenti nel complicato percorso della scuola media sono lo specchio più disarmante e puro della nostra società. È riduttivo chiamare Basileus – La scuola dei re un documentario. Racconta la vita e il percorso formativo di un gruppo di adolescenti nella scuola media Federico Fellini nel quartiere San Basilio a Roma. Si tratta di un quartiere tristemente noto alla cronaca nera e giudiziaria, dove i percorsi di vita sono spesso obbligati e dove la scuola svolge il ruolo di contenitore delle speranze e dei sogni, ma anche di valvola di sfogo delle paure e delle incertezze che questi ragazzi hanno verso il futuro. Fuori dai canali tradizionali di distribuzione, Giovedì 17 gennaio, nell’ambito della rassegna “Racconti dal vero”, il film verrà proiettato presso il Centro aggregativo Apollo 11 in via Bixio 80/A, Roma alle ore 21. Sarà un’occasione per parlare di scuola insieme al regista e ad alcuni dei protagonisti. Alessandro Marinelli, 41 anni, calabrese, romano di adozione, è il regista e, insieme alla moglie Simona Messina, lo sceneggiatore, il padre di Basileus. Ci vediamo a cena per parlare del film e lui ne parla proprio con lo stesso affetto ed entusiasmo con il quale un padre parlerebbe del figlio: «L’idea è nata circa 7 anni fa. Mi trovavo al Cinema Aquila per seguire un festival che si chiama “Visioni fuori raccordo” e hanno proiettato il film di Vittorio De Seta Diario di un maestro. Mi piacque moltissimo. Non sapevo ancora come, ma mi ronzava in testa l’idea di fare un film in una scuola. Volevo in qualche modo riprendere l’idea di Vittorio De Seta ed andare a girare in una scuola di periferia romana. Invece di far interpretare i ruoli ad attori che seguivano le direttive del regista, io volevo andare nella scuola, usare quegli stessi luoghi, ma fare un film di osservazione, anche un po’ antropologico; raccontare la realtà che si vive in una scuola di periferia, in una scuola difficile. Volevo raccontare come era cambiata la scuola dal film che avevo visto, quali sono i metodi di insegnamento, ma soprattutto volevo raccontare il mondo dei ragazzi. E una sera parlando con un’amica educatrice, Maria Rosaria D’Agostino, mi ha detto che lavorava in una scuola a San Basilio e questo mi ha fatto partire la scintilla. Sono andato a trovarla, ho visto dove lavorava. Aiutava i ragazzi nel doposcuola a fare i compiti in una struttura che si chiama Frequenza 200 . Mi ha presentato la vice preside della “Federico Fellini” e così ho cominciato a frequentare la scuola. All’inizio sono solo andato ad ascoltare le lezioni e poi ho trovato un modo carino e graduale per entrare in contatto con i ragazzi. Ho fatto un laboratorio di cinema ed ho aiutato i ragazzi a realizzare un cortometraggio. Questo ha permesso di stabilire un rapporto fra me e i professori e di ottenere la fiducia sia dei professori che dei ragazzi. Poi ho chiesto le autorizzazioni ed ho cominciato a girare. Piano piano. Ovviamente all’inizio i ragazzi erano ancora un po’ incuriositi dalla camera e non usciva la verità che cercavo, l’osservazione pura. Quello a cui miravo era raccontare senza ideologie, solo osservando la realtà, raccontare quello che avveniva di fronte ai miei occhi. Continuando a filmare sono diventato in qualche modo parte della classe, sono diventato un loro compagno di banco e nessuno ha più notato la camera. È stato un percorso di avvicinamento in tutti i sensi. Ancora non sapevo chi fossero i protagonisti però continuando a girare ho iniziato a stringere il campo. Partendo da un campo largo ho iniziato a stringere e a focalizzare su alcuni ragazzi che mi interessavano di più, perché avevano qualcosa da dire di profondo. Il lavoro di ripresa è durato da novembre fino a giugno. Un venerdì abbiamo incontrato un professore un po’ particolare che stava suonando la chitarra in sala professori. E abbiamo pensato: “Questo potrebbe essere il nostro aedo”. Gli abbiamo chiesto se potevamo infilargli un microfono sotto la maglietta, entrare in classe e seguire le sue lezioni. Lui ha risposto “Sì, è una scuola pubblica. Non ho niente da nascondere. Faccio comunque lezione. Potete registrarla tranquillamente”. Non ha chiesto chi eravamo, per chi lavoravamo, se ci mandava il Miur. Grazie alla complicità di questo professore, ma anche degli altri professori e della vice preside, la professoressa Pellizzaro, abbiamo seguito le lezioni per arrivare alla fine dell’anno con circa trecento ore di materiale registrato. Sandro Bartolozzi di Clipper Media ha creduto subito nel nostro lavoro e grazie a lui abbiamo ottenuto anche l’interesse di Rai Cinema che lo ha affiancato nella produzione. Il lavoro di montaggio è durato circa un anno. Avevamo a che fare con tantissimo materiale ed era difficile montarlo. Il film non è fatto da interviste ma solo da osservazione. Avevo frammenti di realtà da mettere insieme. Con un grosso lavoro di montaggio insieme a mia moglie e montatrice Simona Messina abbiamo organizzato la realtà, mi piace dire così. Abbiamo creato dei collegamenti emotivi, trovato dei ponti, delle corrispondenze fra le varie storie e siamo arrivati al montaggio del film. Nel 2018 è stato finalista al “Giffoni Film Festival” nel “Concorso internazionale documentari” ed ha riscosso un bel successo. Non ci aspettavamo nulla. Non sapevo quello che sarebbe successo ma sapevo che c’era qualcosa di buono in quella scuola. Mano mano che andavo avanti capivo sempre di più che era una periferia da raccontare, che mi avrebbe dato delle risposte. Quando i ragazzi si sono aperti è stato bellissimo. Il film pone molti interrogativi. Cosa deve fare un insegnante? Deve trasmettere conoscenza, educazione? Deve incuriosire i ragazzi alla vita, allo studio? Oppure deve fargli imparare a memoria la lezioncina? Ma io nel film non do risposte. Spero soltanto che chi vede il film, se ha a che fare con l’insegnamento, si ponga qualche domanda sul proprio lavoro».
Il professore con la chitarra si chiama Marco Maugeri, 43 anni, da 12 anni insegna Italiano storia e geografia nelle scuole medie. Viene dal mondo del giornalismo e dell’editoria ed è arrivato a scuola per scelta: «In classe, durante le riprese, usavo la Lim per un fatto drammaturgico, per aumentare i punti di fuoco e abbattere la noia. Il meccanismo è lo stesso di quando guardi una partita a tennis: giri continuamente la testa da destra a sinistra e non ti pesa. Stare in una classe ha sempre una componente teatrale. Non tanto teatralizzare la lezione, ma teatralizzare il sapere è inevitabile. Hai 20 ragazzi, ognuno con un suo livello di interesse, ognuno con una sua quota di interesse. Se non porti l’elemento comunicativo, la lezione non funzionerà. Ma la scuola, anche se inevitabilmente risente delle innovazioni tecnologiche, nella sostanza, nello spirito, nell’anima è ancora la scuola di Gentile. Soffro moltissimo quando vedo l’insegnamento delle lingue perchè lo trovo identico a quello che ho vissuto io. Se non funzionava per noi perchè l’insegnante lo ripropone così. La mia percezione è di muovermi nello stesso spazio nel quale mi sarei mosso da ragazzino. Non mi è capitato ad esempio di vedere lezioni di arte basate sulla fotografia, sul cinema, sull’immagine. Le lezioni di arte sono disegno, matite, pastelli a cera. Il contesto è cambiato. Ci sono le Lim, c’è la rete, c’è la banda più o meno larga, però lo studente va a scuola con la stessa cassetta degli attrezzi che portavo io. E allora bisogna chiederci se c’è qualcosa che non va. Abbiamo correttamente recepito che dobbiamo occuparci dei ragazzi, dei loro pensieri, dei loro problemi, delle loro sofferenze, ma abbiamo anche subito questo fenomeno. C’è tanto pressappochismo. L’insegnante deve inevitabilmente gestire la parte psicologica di un gruppo. L’insegnante non è molto diverso dall’allenatore di una squadra di calcio: è inutile avere un grande portiere, o un fenomeno buttato in mezzo a campo. La classe deve andare avanti insieme. Non si sta lì solo per apprendere delle nozioni. Il gruppo deve funzionare ed i ragazzi devono essere sereni in classe. La scuola serve a due cose. Una è la trasmissione dei saperi. Poi c’è un secondo elemento per me fondamentale. Il ragazzo deve essere stimolato, deve essere chiamato a provare a costruire un suo punto di vista. A me è capitato, come a molti colleghi, di avere ragazzi che hanno molti più colpi di quelli che vedi tu, ma anche di quelli che hai tu. C’è tanto talento nelle nostre classi. Dai ragazzi non voglio temi che siano sempre e soltanto un bignamino di quelle quattro cose che abbiamo scritto alla lavagna. Voglio sentire come la pensa lui. Una volta parlando con un amico professore universitario, gli ho letto un tema su “Pirandello e le maschere” e poi gli ho chiesto: “Secondo te quanti anni ha chi lo ha scritto?”. Quella ragazzina aveva dato una possibilità ad una lettura delle maschere e della relazione con la personalità di Pirandello che butta giù tutto il nostro modo di raccontare Pirandello. C’era una ragazzina di tredici anni che aveva visto cose che nè io nè lui avevamo visto. Questa è la parte emozionantissima della scuola. Quando un ragazzo entra a scuola, anche in una scuola di periferia, una parte della sua vita potrebbe cambiare, alcuni dei suoi talenti potrebbero trovare spazio. La domanda che mi faccio è: “Siamo disposti a dare una possibilità ai talenti dei nostri ragazzi?».
Basileus – La scuola dei re non cerca risposte ma ci pone tante domande. Alessandro Marinelli crede molto nella potenza delle domande: «Per un adulto vedere il film è ritornare ai tempi della scuola, con nostalgia forse, ma è anche mettersi in gioco, farsi delle domande, porsi degli interrogativi. È una storia irripetibile nata dentro una classe dove si è creata un’alchimia unica. Dentro quella classe c’è tutta la nostra società. È un film su di noi. È uno specchio, un modo per vederci nelle storie di questi ragazzi”.
Le nuove date di proiezione:
BASILEUS TRAILER from alessandro marinelli on Vimeo.