C’è qualcosa che non torna nella pervicacia con cui il Movimento 5 Stelle ha a cuore di zittire Radio Radicale. Prima di tutto vale la pena ricordare le parole di Di Maio che fino a pochi giorni fa tranquillizzava tutti dicendo che si «si sarebbe trovata una soluzione» che invece non è stata trovata e poi con l’infame giochetto di fare passare Radio Radicale come un radio di partito quando invece, da anni, è radio di servizio pubblico che copre i buchi di un servizio pubblico piuttosto intermittente quando si tratta di farci sentire (e archiviare e rendere consultabile l’archivio) ciò che avviene in Parlamento.
Non torna tra l’altro questo odio instillato verso l’informazione che si dovrebbe sostenere con i lettori perché se un prodotto editoriale offre un servizio (e non gattini e non teorie complottiate che straripano di clic) diventa molto difficile capire quale sia il confine tra i meccanismi di mercato e la libera democrazia di pensiero. Radio Radicale, per intendersi, dà voce a tutti. E non ha eguali nel panorama radiofonico (verrebbe addirittura da dire nei media) italiani.
Ma se davvero la chiusura di Radio Radicale vi interessa poco allora sappiate almeno che sono molte le attività (d’informazioni, culturali, educative, di sostegno etc.) che non troveranno mai riscontro economico per potersi sostenere semplicemente perché è dovere dello Stato fare (e sostenere) informazione e cultura.
Turbano poi i commenti gaudenti di chi dice che “se non si sostiene da sola sono fatti suoi” che arrivano spesso da gente che si lamenta di non sostenersi da sola. Gioire per la chiusura di una radio o di un giornale, anche del peggiore, è un ulteriore sintomo dello spirito vendicativo di questi tempi in cui si cerca di alleviare le proprie sofferenze godendo del fallimento degli altri.
Contenti voi.
Buon giovedì.