Mi permetto di dire la mia su come la Sinistra esce dopo l’assemblea del 9 giugno.
La sconfitta subita è stata certamente pesante ed è una sconfitta che lascia in molti, dubbi e ripensamenti, non era quindi scontato che la presenza all’assemblea fosse di oltre le 350 persone e
che molti non siano neanche riusciti ad entrare. A loro vanno le nostre scuse e il nostro ringraziamento, con la speranza che ci si possa ritrovare in seguito e comunque, a loro come a chi è interessato a partecipare alla discussione resta il nostro impegno a raccogliere il maggior numero di contributi ad un confronto che deve necessariamente restare aperto.
Sicuramente abbiamo fatto una cosa importante mantenendo la promessa di rivederci dopo le elezioni e di ancor più grande importanza è il fatto che molti se non tutti gli interventi hanno mostrato la volontà di andare avanti.
Andare avanti, dunque, ma come e perché?
Il perché ci è forse più chiaro e alcuni degli interventi hanno sottolineato il cambio di fase che sta accedendo, anche a livello globale, nel processo di globalizzazione capitalista e questo ci consegna una ridefinizione dello scenario in cui ci muoviamo in Italia ed in Europa. Il nazionalismo e la destra offrono una nuova soluzione alla crisi di credibilità che il modello neoliberista sta producendo in Europa e nel mondo. Anche in Italia, dopo anni di desertificazione sociale, in cui conta la sola risorsa e dimensione individuale, spesso la sola speranza di “farcela” è affidata ad una propria consegna nelle mani del più forte. Nella speranza di essere garantito della propria individuale condizione di lavoro e di status sociale o almeno di trovare un sostegno nel pensare che la propria salvezza passa nella difesa da chi gli è sotto, vedendo in questo un nemico da cui difendersi. Anche a costo di sacrificare la propria umanità.
A tutto ciò non abbiamo saputo rispondere con una proposta altrettanto efficace. Siamo rimasti incastrati tra chi continua a proporci la stessa idea di competizione nel mercato globale a cui fare affidamento per stare nel mondo e chi risponde con la xenofobia e la chiusura nazionalista, facendo leva sulla paura.
A questa nuova fase occorre far fronte con coraggio e con uno sguardo lungo. La lista e dunque la proposta che abbiamo costruito, non ha futuro se non si misura con la portata degli eventi che abbiamo di fronte.
È possibile la definizione di uno spazio politico che esca da questo duopolio? Se si come?
La sensazione di rivivere una storia già vista è troppo forte per restare muto o indifferente. Lo stallo in cui penso siamo incastrati è più o meno quello che abbiamo già vissuto subito dopo le scorse elezioni europee, quando, usando le stesse parole, abbiamo preso atto che non si poteva avere una “stretta organizzativa” intorno alla lista de L’Altra Europa con Tsipras e abbiamo scelto di lasciare aperta la discussione e non dare una forma organizzata alla partecipazione di chi aveva sostenuto la lista e alle assemblee che si erano formate.
È evidente che allora il nodo era politico. È possibile, allora come ora, avere una sinistra alternativa e fuori dai campi esistenti? La risposta allora è stata “vediamoci e discutiamo”.
Allora l’affidamento fatto verso i garanti non tenne a lungo e l’allontanamento una dopo l’altra di quelle figure ci ha riportato al punto di partenza. Una sinistra divisa e frammentata e con lo stesso nodo politico irrisolto.
Certo queste elezioni hanno pronunciato un verdetto e se ci fosse stato un risultato migliore, forse, non saremmo a questo punto. Ma il risultato è forse anche il frutto di una debolezza della proposta che abbiamo costruito senza il dovuto investimento e con tempi ridotti all’osso.
In questi anni abbiamo cercato di dare forma alla definizione di questa alternativa. Lo abbiamo fatto sempre con il massimo dell’apertura a chi “fuori di noi” poteva essere interessato alla ricostruzione di una forza politica che si ponesse questa ambizione con apertura e senza preclusioni verso altri.
Eppure tutti i tentativi fatti non hanno prodotto i risultati sperati. Da dove ripartire dunque?
Sono di ritorno da un incontro con le reti internazionali che si occupano di economia buona ed ecologica. Tante esperienze che mostrano che alternative al modello economico che ci sta portando al disastro ambientale ci sono e sono praticate.
Come transform! europe e Sinistra Europea abbiamo lavorato affinché tutte queste pratiche, insieme a tutte le idee e le analisi che vengono prodotte sul terreno dei Commons, abbiano un qualche significato politico. Forse partire da questi contenuti, da come nella pratica è possibile definire un modello di economia alternativo che funziona, sarebbe utile anche a noi. Pratiche che servano anche a radicare un conflitto contro un sistema politico che resta ancorato al vecchio/nuovo modello economico capitalista.
Per questo penso sia possibile ricominciare da qui, dalle esperienze dirette di alternativa praticate e dalla definizione dei Commons come una piattaforma politica per la sinistra del XXI secolo. Non quindi una ricomposizione politica che arriva, spesso, solo in prossimità della scadenza elettorale, ma un cammino che riconnetta le esperienze di lotta nel mondo del lavoro e della salvaguardia dell’ambiente capace di costruire una alternativa credibile e concreta.
Per farlo non ci sono scorciatoie, serve l’impegno di tutti e di tutte, serve definire un processo che renda ognuno ed ognuna, protagonista e direttamente coinvolt* nelle scelte collettive. Serve che il Partito della Sinistra Europea si apra e diventi lo spazio in cui le differenze si ricompongono, In cui partiti, associazioni, movimenti, singoli individui, trovino la forma di discussione, cooperazione e decisione, per definire una alternativa reale, a livello europeo.
Serve la sezione italiana del Partito della Sinistra Europea
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Articolo pubblicato sul sito di Transform! Italia