Un anno dopo la risoluzione Ue che metteva al bando tutte le formazioni neofasciste, il 19 settembre scorso Bruxelles ne ha varata una di segno revisionista, che equipara nazismo e comunismo in un testo di condanna di ogni totalitarismo. Come se non ci fosse differenza fra il nazifascismo basato sulla logica dello sterminio, sulla violenza, sulla distruzione dell’umano e quel sogno comunista, nato da istanze opposte di riscatto, di emancipazione, di uguaglianza e libertà.
Lungi da noi difendere il socialismo reale. Rifiutiamo nettamente lo stalinismo. Ma il fallimento del comunismo non ci permette di dire che rossi e neri siano uguali. Significherebbe annullare l’impegno, spesso pagato con la propria vita, dei partigiani che hanno lottato perché l’Italia fosse un Paese libero e democratico. Significherebbe oltraggiare chi ha dato un contributo fondamentale perché l’Italia avesse una Costituzione che parla di uguaglianza, di libertà, di dignità, di diritto alla salute, di inviolabilità e di pieno sviluppo della persona umana, di libertà di insegnamento, di ricerca, di diritto alla conoscenza, di tutela dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio d’arte...
Un anno è corso via veloce e d’un balzo la Ue è passata dall’importante iniziativa di condanna delle azioni squadriste di CasaPound e Forza nuova, promossa nel settembre 2018 da tre eurodeputate (Eleonora Forenza, Ana Miranda e Soraya Post), a una risoluzione che falsifica la storia, come denunciano in questa copertina storici, insegnanti, politici e rappresentanti dell’antifascismo come la presidente dell’Anpi Carla Nespolo. Fermandosi allo scellerato patto Molotov-Ribbentrop, facendone la causa della Seconda guerra mondiale e omettendo di parlare delle responsabilità del colonialismo come del sostegno delle democrazie liberali al nazismo, la recente risoluzione sconfessa anche quella varata nel 2005 che condannava giustamente lo stalinismo ma riconosceva l’impegno sovietico contro il nazismo, ricordando il 27 gennaio del 1945 quando soldati sovietici dell’Armata rossa superarono il cancello del campo di sterminio nazista di Auschwitz e posero fine all’orrore.
Mentre si avvicina il 6 ottobre, giorno di commemorazione della strage di Marzabotto, che quest’anno avverrà alla presenza di David Sassoli, Roberto Musacchio, che nel 2005 era europarlamentare, scrive una lettera aperta al presidente del Parlamento europeo, che pubblichiamo ad incipit di un articolato sfoglio di approfondimento.
In fiduciosa attesa di una sua risposta da Bruxelles, ci sembra importante riportare qui un passaggio del discorso che il presidente della Repubblica, il 29 settembre, ha pronunciato proprio a Marzabotto: «A 75 anni dall’immane sterminio di donne e di uomini, di bambini e di anziani, che le squadre naziste compirono nell’area del comune di Marzabotto e nei territori alle pendici di Monte Sole, la Repubblica ricorda i tanti innocenti uccisi, il dolore atroce dei sopravvissuti, quella ferita all’umanità».
Il 29 settembre del 1944, ha ricordato Mattarella, «cominciò il barbaro eccidio, e le stragi proseguirono per giorni. Fu un crimine efferato e disumano. Alle atrocità della barbarie nazifascista la Repubblica e la sua democrazia hanno risposto ponendo al centro la persona, affermando l’aspirazione alla pace e quella alla giustizia, il rispetto dei diritti inviolabili dell’uomo e, insieme, dei diritti delle comunità in cui l’uomo si realizza».
In un momento in cui dal Parlamento europeo arriva una irricevibile operazione di alterazione della storia, mentre Berlusconi rivendica come un vanto l’aver sdoganato fascisti e Lega, (nel 1994 un partito neofascista si presentò alle elezioni, come Msi-An, in alleanza con FI) assumono particolare importanza le parole del capo dello Stato quando ricorda che «la Repubblica è nata da questo riscatto popolare, dal rifiuto dell’odio e della volontà di potenza, dalla resistenza all’ideologia di sopraffazione e di violenza. Le basi repubblicane sono iscritte in una comunità nazionale legata da spirito di solidarietà, che sa riconoscere il bene comune, trovando l’unità nei momenti decisivi e facendosi promotrice di pace e cooperazione, non più un nazionalismo che esaspera i contrasti: così nel dopoguerra è sorta l’Europa “unita nella diversità”».
[su_divider style="dotted" divider_color="#d3cfcf"][su_button url="https://left.it/left-n-40-4-ottobre-2019/" background="#a39f9f" size="7"]SOMMARIO[/su_button] [su_button url="https://left.it/prodotto/left-40-2019-4-ottobre/" target="blank" background="#ec0e0e" size="7"]ACQUISTA[/su_button]
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Lungi da noi difendere il socialismo reale. Rifiutiamo nettamente lo stalinismo. Ma il fallimento del comunismo non ci permette di dire che rossi e neri siano uguali. Significherebbe annullare l’impegno, spesso pagato con la propria vita, dei partigiani che hanno lottato perché l’Italia fosse un Paese libero e democratico. Significherebbe oltraggiare chi ha dato un contributo fondamentale perché l’Italia avesse una Costituzione che parla di uguaglianza, di libertà, di dignità, di diritto alla salute, di inviolabilità e di pieno sviluppo della persona umana, di libertà di insegnamento, di ricerca, di diritto alla conoscenza, di tutela dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio d’arte…
Un anno è corso via veloce e d’un balzo la Ue è passata dall’importante iniziativa di condanna delle azioni squadriste di CasaPound e Forza nuova, promossa nel settembre 2018 da tre eurodeputate (Eleonora Forenza, Ana Miranda e Soraya Post), a una risoluzione che falsifica la storia, come denunciano in questa copertina storici, insegnanti, politici e rappresentanti dell’antifascismo come la presidente dell’Anpi Carla Nespolo. Fermandosi allo scellerato patto Molotov-Ribbentrop, facendone la causa della Seconda guerra mondiale e omettendo di parlare delle responsabilità del colonialismo come del sostegno delle democrazie liberali al nazismo, la recente risoluzione sconfessa anche quella varata nel 2005 che condannava giustamente lo stalinismo ma riconosceva l’impegno sovietico contro il nazismo, ricordando il 27 gennaio del 1945 quando soldati sovietici dell’Armata rossa superarono il cancello del campo di sterminio nazista di Auschwitz e posero fine all’orrore.
Mentre si avvicina il 6 ottobre, giorno di commemorazione della strage di Marzabotto, che quest’anno avverrà alla presenza di David Sassoli, Roberto Musacchio, che nel 2005 era europarlamentare, scrive una lettera aperta al presidente del Parlamento europeo, che pubblichiamo ad incipit di un articolato sfoglio di approfondimento.
In fiduciosa attesa di una sua risposta da Bruxelles, ci sembra importante riportare qui un passaggio del discorso che il presidente della Repubblica, il 29 settembre, ha pronunciato proprio a Marzabotto: «A 75 anni dall’immane sterminio di donne e di uomini, di bambini e di anziani, che le squadre naziste compirono nell’area del comune di Marzabotto e nei territori alle pendici di Monte Sole, la Repubblica ricorda i tanti innocenti uccisi, il dolore atroce dei sopravvissuti, quella ferita all’umanità».
Il 29 settembre del 1944, ha ricordato Mattarella, «cominciò il barbaro eccidio, e le stragi proseguirono per giorni. Fu un crimine efferato e disumano. Alle atrocità della barbarie nazifascista la Repubblica e la sua democrazia hanno risposto ponendo al centro la persona, affermando l’aspirazione alla pace e quella alla giustizia, il rispetto dei diritti inviolabili dell’uomo e, insieme, dei diritti delle comunità in cui l’uomo si realizza».
In un momento in cui dal Parlamento europeo arriva una irricevibile operazione di alterazione della storia, mentre Berlusconi rivendica come un vanto l’aver sdoganato fascisti e Lega, (nel 1994 un partito neofascista si presentò alle elezioni, come Msi-An, in alleanza con FI) assumono particolare importanza le parole del capo dello Stato quando ricorda che «la Repubblica è nata da questo riscatto popolare, dal rifiuto dell’odio e della volontà di potenza, dalla resistenza all’ideologia di sopraffazione e di violenza. Le basi repubblicane sono iscritte in una comunità nazionale legata da spirito di solidarietà, che sa riconoscere il bene comune, trovando l’unità nei momenti decisivi e facendosi promotrice di pace e cooperazione, non più un nazionalismo che esaspera i contrasti: così nel dopoguerra è sorta l’Europa “unita nella diversità”».