I giovani che diedero vita alla mobilitazione studentesca trent’anni fa volevano cambiare l’università e il Paese. Ispirati da un ideale del sapere come arma critica per il progresso. Ma si scontrarono con una politica in crisi. Indifferente alle loro istanze, ancora attuali

È il gennaio del 1990 quando gli studenti occupano pacificamente più di 150 facoltà. Preoccupati di come la politica stesse affrontando un nodo critico della società italiana: l’istruzione. Il movimento prende avvio a Palermo e si diffonde rapidamente in tutta Italia. È un movimento molto particolare: si incontrano giovani appartenenti alle organizzazioni e gruppi politici eredi della sinistra parlamentare ed extraparlamentare degli anni 60 e 70, e tanti, tantissimi studenti alla loro prima esperienza politica, in una fase di crisi ormai conclamata dei partiti politici di massa della Prima Repubblica e, in generale, di riconfigurazione delle appartenenze e delle ideologie del Novecento.

Gli studenti chiedono migliori condizioni di studio e protestano contro il malaffare che lambisce gli atenei all’epoca del Caf (il patto di governo tra Craxi, Forlani e Andreotti, ndr). Si oppongono alla legge sull’autonomia universitaria del ministro Ruberti che, nella loro analisi, avrebbe…

L’articolo prosegue su Left in edicola dal 17 gennaio

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