II quadro che emerge dai dati forniti dall’Istat nel report sulle condizioni di vita dei pensionati 2017-2018 conferma la condizione di sofferenza in cui versano milioni di persone con pensioni sempre più basse, che collocano, loro e le loro famiglie, sul limitare o spesso sotto la soglia di povertà. Un’analisi ragionata dei dati poi mostra purtroppo la permanenza di squilibri e divari che confermano ancora di più quanto la società italiana sia segnata negativamente dalle le politiche antipopolari degli ultimi anni.
Ma mostra anche la straordinaria resilienza dei ceti popolari nell’affrontare difficilissime condizioni materiali praticando forme basilari di solidarietà, quelle familiari, per sopperire alla scarsità di salari e servizi. Nella distribuzione dei redditi da pensione risulta confermata la spinta alla polarizzazione dei redditi e alla crescita delle disuguaglianze accentuata negli ultimi decenni dall’attacco ai redditi da lavoro e dalla finanziarizzazione dell’economia.
Infatti ci dice l’Istat che e il «20% di quanti percepiscono i redditi pensionistici più bassi dispone del 5,2% del totale delle risorse pensionistiche mentre il quinto più ricco ne possiede otto volte di più (42,4%)», cioè i più poveri prendono pensioni 8 volte più basse. Sicuramente ciò è dovuto all’esistenza di un eccesso di pensioni d’oro, ma soprattutto al fatto che ben 5 milioni e 800 mila pensionati ricevono meno di mille euro di pensione e circa 2 milioni cumulano meno di 500 euro.
Dati drammatici che concorrono a spiegare quelli sulla povertà in Italia forniti recentemente sempre dall’Istat: 5 milioni di persone vivono in stato di povertà assoluta e 9 milioni di persone in condizione di povertà relativa. Le discriminazioni economiche nei confronti delle donne sono un altro grande problema del Paese che risulta confermato anche in riferimento al valore delle pensioni. Le donne ricevono il 55% delle pensioni e rappresentano il 52% delle persone pensionate, ma ricevono solo il 44% della spesa complessiva; l’importo medio delle pensioni di vecchiaia delle donne è più basso di quello degli uomini del 36%; secondo gli ultimi dati dell’Inps sono per le donne il 75 per cento degli assegni sotto i 750 euro.
Le donne pagano due volte; prima stentando a raggiungere l’età della pensione, poi con pensioni più basse degli uomini le discriminazioni subite in tutto l’arco della vita lavorativa: salari ridotti, carriere lavorative discontinue, non riconoscimento a fini pensionistici del lavoro riproduttivo e di cura.
Il grave divario Nord Sud è un altro fenomeno che emerge con forza dal report dell’istituto di statistica, a conferma del fatto che la gestione neoliberista della crisi accentua i divari economici e sociali invece che ridurli: chi è povero diventa più povero, chi è ricco diventa più ricco.
Può essere ovvio, vista la distribuzione dell’occupazione nel Paese, ma non meno grave il fatto che il nord beneficia di più del 50% della spesa pensionistica mentre il mezzogiorno riceve solo il 27, 8%: piove sul bagnato. Non altrettanto ovvio che nel sud dove sono più diffuse le pensioni assistenziali, il quinto di popolazione che appartiene alla fascia di reddito da pensione più basso percepisce fino a un massimo di 7 mila euro lordi annui, al nord lo stesso quintile riceve il 30% in più.
Eppure sono i pensionati del sud più di quelli del nord a svolgere il ruolo di aiuto ai figli e ai nipoti in sostituzione di un lavoro che non c’è e di un welfare assente: nel mezzogiorno sono il 25% i pensionati che vivono in famiglie con figli, mentre la media nazionale si attesta al 18,8% e al nord è ancora più bassa. E questo nonostante anche la media delle famiglie di pensionati del Sud e delle Isole presentano un’incidenza del rischio di povertà quasi tripla rispetto a quella delle famiglie residenti nel Nord e più che doppia rispetto a quelle del Centro.
Un’altra questione che emerge dai dati smentisce nel modo più lampante i fiumi d’inchiostro spesi per alimentare la retorica del conflitto intergenerazionale, dei vecchi che rubano il futuro ai giovani. Al contrario risulta indispensabile la solidarietà dei pensionati nel sostegno alle famiglie gravemente impoverite dalla difficoltà dei giovani a trovare lavoro, da bassi salari e lavori precari, carenza di servizi, costi sanitari, affitti insostenibili. Per ben 7 milioni e 400 mila famiglie le entrate da pensione rappresentano i tre quarti del reddito disponibile.
Dati confermati dalla ricerca effettuata per la Fondazione Di Vittorio nel 2019 secondo la quale il 37, 5% dei pensionati, circa 6 milioni di anziani aiutano economicamente i familiari, soprattutto figli e nipoti; altro che conflitto generazionale! Siamo di fronte a un vero e proprio ammortizzatore sociale, che vale circa 10 miliardi, molto più del reddito di cittadinanza, senza il quale molti giovani e famiglie cadrebbero nella disperazione della povertà e della grave deprivazione materiale.
Fatto ancor più significativo se si considera che la metà di questi pensionati, tre milioni, vivono in famiglie che hanno all’interno una persona non autosufficiente con tutte le necessità di cura e di costi che ne conseguono. La presenza di un pensionato all’interno di nuclei familiari “vulnerabili” consente quasi di dimezzare l’esposizione al rischio di povertà, dal 31,6% al 16,1%. È certamente una forma di risposta prepolitica quella che oppone la solidarietà intergenerazionale cementata da legami familiari al tentativo di chi prima crea le fratture sociali reali e poi prova a mettere i giovani contro i vecchi nella logica di espandere la guerra di tutti contro tutti. Almeno in questo caso il gioco non è riuscito e non è poco.
Anche dall’analisi della distribuzione delle pensioni emerge dunque l’immagine di una società polarizzata di cui portano la responsabilità tutti i governi che in ossequio ai deliri dell’austerità e dei vincoli di bilancio hanno perseguito tenacemente la riduzione dei redditi da pensione, l’allungamento della vita lavorativa e la distruzione del sistema previdenziale pubblico a vantaggio di quello privato. Da questa analisi esula un ragionamento sulle pensioni delle future generazioni, ma è chiaro che se non si riescono a mettere in discussione i pilastri della legge Fornero, per i giovani di domani e per le donne si prospetta una vita lavorativa senza termine e pensioni da fame.
La lotta dei lavoratori francesi, che ha ottenuto un risultato parziale ma importante, è un’occasione importante per allargare il conflitto agli altri Paesi e stare all’altezza dell’attacco neoliberista forte dei trattati e dei vincoli di quest’Europa dei capitali e della finanza. Guai a chi si assume la responsabilità di lasciarli soli come è già accaduto con la Grecia.
Antonello Patta è responsabile nazionale Lavoro PRC-S.E.