I due ragazzi stavano scappando dalla Libia in guerra dopo aver subito torture e violenze di ogni genere nei lager per migranti. Ma sono stati intercettati in mare dalla guardia costiera di Tripoli. Ecco la loro testimonianza che chiama in causa il governo italiano

Omar avrebbe voluto tanto laurearsi. Studiare, fare una vita tranquilla. Invece si trova su un gommone in mezzo al Mediterraneo. È domenica 16 febbraio quando, assieme ai suoi compagni di viaggio, in gran parte sudanesi, decide di partire dalle coste libiche nei pressi di Garabulli alla volta dell’Europa. È lì perché vuole fuggire, finalmente, da un Paese in cui è stato torturato, spedito forzatamente al fronte della guerra civile in atto, ha visto morire suoi amici. È un ragazzo sveglio, e non ha intenzione di arrendersi.

Non molto distante da lui, a bordo di un altro gommone carico di esseri umani, c’è Nat. La sua odissea prosegue ormai da otto anni, da quando nel 2012 decise di abbandonare l’Eritrea. Torturato nel deserto del Sinai dai trafficanti di esseri umani, poi deportato da Israele in Rwanda, poi arrivato in Libia, è stato rinchiuso in tutti i peggiori lager per migranti del Paese. Ha gravi problemi di salute mentale a causa dei traumi subiti. Un fratello, che lotta per lui a distanza, lo aspetta col cuore in mano in Gran Bretagna. Lui ce l’ha fatta, ha ottenuto lo status di rifugiato oltremanica.

Omar e Nat sperano forte di potersi lasciare alle spalle il proprio passato, difficile anche da nominare. Confidano di abbandonare la Libia una volta per tutte. Le loro imbarcazioni però viaggiano controvento. Con quei motori e con quel carico di persone la velocità è ridotta. Il gommone di Omar, dopo un’intera notte di navigazione sotto le stelle, si trova a circa 40 miglia nautiche dalle coste nordafricane, oltre le acque territoriali libiche, quando il rombo di un aereo della missione Ue Sophia si fa sempre più forte. Il bimotore ad elica, che i radar del traffico aereo disponibili online identificano come un assetto della missione europea gestito dall’esercito del Lussemburgo, sorvola i profughi la mattina di lunedì 17 febbraio. Dovrebbe essere un momento di gioia. Lo sciabordio delle onde ha sostituito ormai i boati dei mortai di Tripoli, da lì non se ne sente nemmeno l’eco, ed un velivolo militare del continente culla dei “diritti umani” li ha appena intercettati. Invece a prevalere è il timore.

Da quando la Libia ha una zona Sar di ricerca e soccorso riconosciuta a livello internazionale, le autorità europee che…

L’inchiesta prosegue su Left in edicola dal 28 febbraio

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