Il sistema sanitario lombardo si è piegato sotto il peso della pandemia perché negli anni si è dato troppo spazio ai privati. E questi si occupano soprattutto di malattie che “generano profitti”. A colloquio con Vittorio Agnoletto, medico, docente e attivista

I medici di base sono diventati inutili, era questa la tesi sostenuta la scorsa estate da un sottosegretario leghista del governo Conte I, e invece oggi sono il primo argine alla diffusione del coronavirus. L’efficienza della sanità privata è ineguagliabile, dicevano a turno molti cantori del liberismo, e invece di fronte a questa emergenza diventa palese il disastro dei disinvestimenti nel Sistema sanitario nazionale (Ssn). L’autonomia regionalizzata in ambito sanitario garantirà servizi di maggior qualità, di questo hanno provato a convincerci (e continuano a farlo) destre e parte del centrosinistra, e invece il procedere in ordine sparso delle Regioni per fronteggiare il contagio mostra quanto sarebbe necessaria una regia nazionale per tutelare la salute dei cittadini.

Quelle elencate sono solo alcune delle contraddizioni messe a nudo dall’epidemia contro cui l’Italia sta lottando. Essa ci fornisce insegnamenti preziosi che non potranno essere dimenticati ad emergenza finita, e che indicano quale dovrebbe essere la via per un potenziamento della sanità che consideri davvero la salute come un «fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività».

Ne abbiamo parlato con Vittorio Agnoletto, medico del lavoro, ex presidente Lila, docente di Globalizzazione e politiche della salute alla Statale di Milano, membro della direzione di Medicina democratica e conduttore a Radio popolare della trasmissione 37 e 2.

«Il coronavirus ha messo a nudo in un tempo brevissimo la…

L’intervista prosegue su Left in edicola dal 13 marzo 

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