Viaggio in Calabria nei luoghi della tratta dei braccianti italiani e stranieri. Lavoratrici e lavoratori vittime dello sfruttamento agroalimentare, imprigionati nei campi, sottopagati e soggetti a turni massacranti come testimonia un presidio di Emergency

Statale 106, è la strada che ci ritroviamo a percorrere per seguire la tratta dei caporali. Per lavorare nei campi della provincia di Cosenza bisogna passare per questo sistema. Il caporale è il passepartout per la raccolta di albicocche, pesche, mandarini e arance. Frequentiamo i bar delle stazioni di servizio, chiediamo informazioni ai furgoncini che caricano lavoratori su tutta la statale cosentina. Dalle cinque del mattino sono molti i mezzi che caricano uomini e donne per portarli nelle tenute agricole. Ci accorgiamo che si sta lavorando anche nei campi di aziende che solo qualche giorno prima ci avevano detto di essere fermi, senza lavoro e senza possibilità di assunzione. Arriviamo a qualche numero di telefono di caporali, gli unici che possono intercedere con le aziende.

Fino alle sei del mattino i furgoni girano sulla 106, senza sosta, poi inizia il lavoro nei campi. Italiani e stranieri, tutti stipati in raffazzonati mezzi di trasporto. Riusciamo a entrare in contatto con due caporali, via telefono. Uno vuole incontrarci di persona, l’altro invece si sbilancia subito. «L’azienda sì, assume, ma devo essere io a portarvici altrimenti per voi è impossibile». Non si parla di cifre, di tipo di contratto, di nulla, ma c’è la garanzia del lavoro, perché siamo arrivati a lui tramite un bar di fiducia. Funziona così. Una catena di contatti che vede il caporale come unico responsabile. Per qualsiasi problema o discussione, il datore di lavoro poi sarà sempre col caporale a sbrigarsela. I braccianti per molte aziende agricole sono invisibili, non ne conoscono i nomi, le esigenze, i guai fisici. Numeri da rendicontare al ribasso.

In un casolare che trasuda di storia, quasi abbandonato, ma con olive in salute, all’imbrunire incontriamo Totore, nome di fantasia per non esporlo più di quanto già abbia fatto. Lo incontriamo perché fa parte della rete dei caporali, uno che decide giorni, orari, turni e paghe. Totore è stato anche lui vittima di caporalato, da qualche anno si è emancipato: il suo vecchio caporale l’ha messo in questa posizione di responsabilità. Lui però è stanco di dover imporre sistemi lavorativi al limite della schiavitù. Lo abbiamo agganciato simulando una richiesta di lavoro, poi però mettiamo le carte in tavola e lui, pur volendo mantenere l’anonimato, ci racconta…

Il reportage prosegue su Left in edicola dal 19 giugno

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