Il referendum del 20 e 21 settembre è il passaggio più importante della transizione verso lo Stato di diritto e la democrazia del nostro Paese.
Si tratta infine di dire NO a chi dopo aver sottratto ai cittadini la possibilità di eleggere i propri rappresentanti li induce a farseli decurtare.
È uno snodo decisivo, storico, successivo al tentativo di Matteo Renzi di stravolgere la Costituzione, e in linea con chi la Costituzione l’ha stravolta nel corso dei decenni.
Non è un caso che i padri costituenti, proprio loro, quelli che non si perde occasione di elogiare per la loro lungimiranza, avessero ancorato la rappresentanza parlamentare al numero degli abitanti.
Basterebbe leggere gli atti della Assemblea costituente per comprendere le profonde ragioni che portarono a stabilire che il numero di abitanti congruo ad avere un rappresentante fosse di un deputato ogni 80mila abitanti (o frazioni superiori a 40mila) e un senatore ogni 200mila (o frazioni superiori a 100mila). Una delle prime “riforme” costituzionali, quella del 9 febbraio 1963, trasformò il numero variabile in numero fisso di 630 deputati e 315 senatori.
Siamo poi passati dalle leggi elettorali fondate sul mercato delle preferenze alle leggi elettorali fondate sul mercato delle oligarchie di partito. Nelle prime erano le prebende a decidere chi avrebbe rappresentato il popolo; nelle seconde sarebbe stata la fedeltà a chi avrebbe compilato le liste.
E siamo arrivati al 2020, quando la maggioranza parlamentare ha deciso che i rappresentanti del popolo devono essere tagliati, ridotti.
È credibile che chi indicherà i nuovi parlamentari voglia farsi un dispetto riducendone il numero? NO, non è credibile! Attraverso la riduzione cerca di migliorare la fedeltà degli eletti, sempre più di partito, sempre meno rappresentanti del…
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Gli autori: Maurizio Turco e Irene Testa sono rispettivamente segretario e tesoriere del partito radicale
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