A oltre un anno dalla loro efficacia, il governo, presieduto dallo stesso presidente del Consiglio dell’epoca, modifica i decreti Sicurezza voluti da Matteo Salvini, annunciando una svolta che in realtà non è né carne né pesce. Un insieme di rattoppi qua e là senza alcuna visione chiara ed autonoma, anzi, succube dei provvedimenti originari voluti dal primo governo Conte.
Ritorna il permesso umanitario, ma non si sciolgono i nodi che riguardano gli accordi con la Libia e con gli altri Paesi del Mediterraneo. L’impronta di sinistra che tanto si attendeva è impercettibile. Si è cambiato colore all’edificio che però è rimasto lo stesso nella sua sostanza perimetrale. La tanto annunciata cancellazione dei decreti Salvini alla fine equivale a un falso ben imitato e spacciato per autentico. Un ritocco parziale e mal scritto che, sia chiaro, non cancella per nulla i decreti sicurezza di Salvini, ma li cambia solo in parte.
Si condivide, ovviamente, l’annullamento delle maxi multe alle Ong che potranno essere inflitte solo all’esito di un processo e non a discrezione del Prefetto, il ripristino del permesso umanitario, il ritorno del sistema degli Sprar e i cambiamenti del sistema dell’accoglienza. Non accettabile, invece, il periodo necessario a ottenere la cittadinanza, ridotto a tre anni.
Resta in toto la politica dell’emergenza sintetizzata con l’assurdo slogan: “Né porti chiusi, né aperti”. Questo tipo d’indecisione alla fine è sempre sintomo del fallimento della politica. Il nuovo decreto sicurezza, in effetti, enuncia che non sarà più possibile vietare l’intervento delle navi umanitarie, ma si dice anche che ciò è possibile a condizione che le «operazioni di soccorso siano immediatamente comunicate al centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo e allo Stato di bandiera, ed eseguite nel rispetto dell’indicazione della competente autorità per la ricerca e il soccorso in mare». Che cosa significa? In parole povere che la Libia è ritenuta un porto sicuro e quindi le Ong dovranno agire di conseguenza considerandola tale.
Ancora peggio si fa in tema di respingimenti. Le modifiche dispongono: «Non sono ammessi respingimenti qualora esistano fondati motivi di ritenere che la persona rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani o degradanti». La Libia abbiamo appena detto che sia da ritenere un porto sicuro, quindi cosa cambierà rispetto ai tempi di Salvini?
I giallorossi cambiano le regole dei gialloverdi capitanati entrambi dallo stesso arbitro. Sembra un fachiro che deve camminare sulle uova stando attendo a non romperne nessuna per non urtare gli umori politici delle forze governative. Evidenzio inoltre che resta invariato l’impianto sulla repressione e la criminalizzazione per il picchetto sindacale o il blocco stradale (reclusione fino a sei anni). Non condivisibile come scelta di politica criminale, neanche il Daspo introdotto per la “movida violenta” dopo l’omicidio di Willy a Colleferro e gli aumenti di pena per il delitto di rissa.
Alle politiche sociali si preferisce ancora una volta la strada della criminalizzazione e del diritto penale. La verità è che sarebbe stato molto più onesto e corretto pretendere chiaramente l’abrogazione di entrambi i decreti sicurezza. Chi è realmente di sinistra su alcune questioni essenziali non può transigere mai. In una materia così delicata e fondamentale non possono essere sufficienti piccole modifiche ma occorre un cambio di rotta netta e precisa che sia al tempo stesso culturale e ideologico.
* Vincenzo Musacchio, giurista e docente di diritto penale, è associato al Rutgers institute on Anti-corruption studies (Riacs) di Newark (Usa). È ricercatore dell’Alta scuola di Studi strategici sulla criminalità organizzata del Royal united services institute di Londra. È stato allievo di Giuliano Vassalli e amico e collaboratore di Antonino Caponnetto.