L’Italia è un Paese fragile, ripetutamente colpito da terremoti, alluvioni, frane. È fragile per la natura del suo territorio ma diventa ancora più vulnerabile perché il costruito e le forme del nostro abitare continuano a non fare i conti con la realtà che ci circonda. Negli ultimi 50 anni il nostro Paese ha subito sei violenti terremoti, tre dei quali nell’ultimo decennio (Friuli Venezia Giulia nel 1976, Irpinia nel 1980, Marche e Umbria nel 1997, Abruzzo nel 2009, Emilia Romagna nel 2012, Centro Italia nel 2016) a cui si aggiungono gravi eventi alluvionali nelle città di Genova, Venezia e molte altre. Più di 10mila persone hanno perso la vita. Eppure il dolore non si trasforma in politiche pubbliche capaci di farci trovare più preparati ad affrontare nuovi eventi e ogni emergenza si affronta come se fosse sempre la prima volta. A fronte di questa fragilità cronica, l’Italia non si è mai dotata di un piano nazionale per la gestione del rischio da catastrofe legata ai fenomeni naturali e al verificarsi di ogni sisma si è sempre ricominciato da capo: ogni volta si è dovuto pensare ad una governance ad hoc, si è moltiplicata la produzione legislativa e regolamentare, ci si è affannati a trovare dal nulla le risorse economiche causando ritardi inaccettabili nella ricostruzione.
Basti ricordare che, a 11 anni dal sisma aquilano, una sola scuola è stata ricostruita e che ad oggi solo il 2% della ricostruzione di edifici privati nei territori colpiti dal sisma in Centro Italia del 2016-2017 è stata portata a termine. Su 2.613 edifici pubblici, solo 28 sono stati ricostruiti. Le conseguenze di questo approccio emergenziale alla gestione del rischio non riguarda solo la ricostruzione. Intere comunità hanno vissuto per anni nell’incertezza normativa, private della possibilità di partecipare al rilancio socio economico del loro territorio, lasciate senza posti di lavoro, in balia di infrastrutture inadeguate e di servizi non attrezzati a rispondere ai traumi subiti. Il risultato? Sfiducia nelle istituzioni, perdita economica, aumento esponenziale di patologie legate alla salute mentale. Le persone e le condizioni oggettive dei territori terremotati ci dicono che i nuovi «ostacoli al pieno sviluppo della persona umana» creati dal sisma sono tanto più alti quanto maggiori sono le disuguaglianze pre-esistenti tra gruppi e tra persone. Ci dicono anche che se l’equilibrio socio-economico precedente al sisma consentiva condizioni di benessere e di sviluppo, nella fase di ricostruzione si tenderà a ripristinare lo stesso equilibrio con tempestività (come accaduto in Emilia Romagna). Se invece l’equilibrio socio-economico pre-sisma teneva il territorio in una trappola di sotto-sviluppo (scarso sfruttamento del potenziale, scarsa quantità e qualità dei servizi, declino demografico), il sisma porterà il territorio verso un peggioramento della situazione. Il sisma, come ogni crisi, tende dunque ad amplificare le disuguaglianze di partenza. Di questo si deve tener conto quando si stabiliscono i diritti e si definisce l’azione pubblica.
Alla luce di tutto questo e dopo anni di presenza sui territori più fragili del Paese, ActionAid ha deciso di lanciare il 6 aprile 2019, in occasione della ricorrenza dei 10 anni dal terremoto aquilano, la campagna #SicuriPerDavvero con…
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L’autrice: Elisa Visconti è capo dipartimento Programmi ActionAid Italia
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