Un anno fa guardavamo con occhi sgranati quel che stava accadendo a Wuhan dove con grande rigore e senso di responsabilità i cittadini rispondevano all’obbligo di lockdown, unico modo per contenere la diffusione del coronavirus di cui poco o nulla si sapeva. Ricordiamo i servizi tv che mostravano la metropoli da 11 milioni di abitanti improvvisamente piombata in un vuoto pneumatico. Non avevamo ancora capito che presto sarebbe toccato anche a noi. E quando è accaduto la risposta non è stata quella di pensare all’interesse collettivo, ma si è scatenata una terribile caccia all’untore. In redazione setacciavamo le fonti scientifiche in cerca di quelle più validate e autorevoli per fare corretta informazione in un mare montante di fake news e stiamo stati fra i primi a denunciare l’inaccettabile sinofobia che stava divorando l’Italia: Weiying Sun, una ragazza di Shanghai che vive a Milano campeggiava in copertina di Left con la scritta: “Non sono un virus”. Era il 14 febbraio 2020.
Proiettare sull’altro, cercare un capro espiatorio, non è mai servito a niente. Se non a discriminare e a procurare maggiore sofferenza.
Malgrado gli enormi sforzi del personale sanitario, 11 mesi dopo, mentre siamo ancora immersi nella seconda ondata e non è ancora partita una massiccia campagna vaccinale, il bilancio è sanguinoso: più di 75.300 persone morte in Italia, più di un milione e ottocento mila persone nel mondo. Fra questi anche il medico Li Wenliang che fra i primi aveva parlato di una sospetta polmonite da coronavirus, ipotizzando una variante della Sars e fu accusato di procurato allarme dalle autorità cinesi.
Il doloroso e difficile anno che ci siamo lasciati alle spalle è stato anche l’anno in cui, nonostante l’assordante rumore dei negazionisti, gli scienziati hanno guadagnato la scena pubblica, collaborando strettamente a livello internazionale, arrivando in tempi record al vaccino. La salute come bene comune, rimettere al centro il benessere psicofisico delle persone, ripensare il modello di sviluppo perché sia più rispettoso dell’ambiente, ripensare il sistema di welfare per una società più giusta e inclusiva sono le questioni centrali oggi, anche a causa della dura lezione che la pandemia ci ha impartito. Abbiamo visto come le politiche neoliberiste abbiano fallito. Gli Stati Uniti di Trump hanno registrato un numero record di morti, con percentuali altissime nelle comunità afroamericane più povere, fra coloro che non si possono pagare l’assistenza sanitaria.
Ma quanto davvero teniamo conto di questa immane tragedia per cominciare a costruire un futuro diverso? Pochissimo diremmo, se guardiamo a quel che sta accadendo sulla scena politica italiana. Mentre i contagi stanno risalendo, mentre manca ancora un chiaro e organizzato piano pandemico, nelle ultime settimane non si è fatto che discutere di crisi di governo, di rimpasto, di deleghe ai servizi segreti, di politica piccola piccola. Mentre la crisi economica morde e in tanti più di prima non sanno come arrivare a fine mese, mentre una intera generazione di studenti ha perso quasi un anno di scuola, i media mainstream sono pieni di retroscena sui giochetti di potere di questo o quel partitino. Ma ci rendiamo conto che siamo di fronte a una crisi epocale che chiede visione politica, lungimiranza, inclusione, pianificazione, investimenti sul lavoro in vista di quando verrà meno il blocco dei licenziamenti? Ci rendiamo conto che i soldi del Recovery fund vanno spesi bene e in tempi utili? Ma soprattutto ci rendiamo conto che lo scenario internazionale è completamente cambiato e tanto più cambierà nei mesi a venire? Mentre i quotidiani a più larga diffusione in Italia rincorrono le dichiarazioni di Renzi, Salvini, Meloni ecc, il mondo va avanti.
Pensando a fare informazione come servizio ai cittadini sentiamo il dovere di allargare lo sguardo. Mentre la politica italiana si guardava l’ombelico il primo gennaio 2021 in Africa (vedi Left n. 52) è entrata in funzione l’African continental free trade Area, una vastissima area di libero scambio africana, avviando un processo epocale. Per restare sul piano degli accordi economici, ma che assumono molti altri significati sul piano geopolitico e del riassetto mondiale, ricordiamo che a metà novembre la Cina, che è riuscita a contenere la pandemia e ne sta uscendo con un’economia dal segno più, ha firmato un patto commerciale con 14 Paesi, compresi Corea e Giapponese. E che – con grande smacco degli Usa – ha firmato anche un patto con la Ue per cominciare ad aprire il mercato cinese interno promettendo nel frattempo maggiore tutela della proprietà intellettuale e della privacy.
In un momento in cui, anche per motivi di tracciamento sanitario, il controllo è diventato estremamente serrato in Cina, mentre la blogger Zhang Zhan è stata condannata a quattro anni per aver diffuso notizie sulla pandemia, in quale direzione andrà veramente il Paese guidato da Xi Jinping? Piaccia o meno la Cina diventerà presto la prima potenza economica mondiale. Da molti anni sta esercitando il suo “soft power” finanziando infrastrutture in Africa e ora sta tracciando una via della seta sanitaria per fare business.
Vogliamo cercare di capire quali sono gli elementi propulsivi, la straordinaria forza culturale di quel Paese ma anche i limiti che ancora sconta sul piano della tutela dei diritti umani? Questa a nostro avviso è una delle grandi sfide che attendono l’informazione in Italia. Per avviarci in questa impresa abbiamo chiesto al sinologo Federico Masini della Sapienza di guidarci e di fornirci strumenti critici e di riflessione, insieme ai suoi autorevoli collaboratori, docenti universitari in Italia e in Cina, E abbiamo chiesto a Francesco Radicioni di aiutarci a capire più a fondo cosa sta succedendo nel Sud Est asiatico, dove la lotta per la democrazia in Thailandia si lega a quella di Hong Kong. In modo che ognuno possa farsi liberamente la propria opinione. Conoscere per deliberare è il motto einaudiano e radicale che sentiamo anche nostro.
Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE