Basir Ahang è un giornalista italo-Hazara che 13 anni fa arrivò in Italia a seguito di alcune minacce di morte ricevute dai Talebani a causa della sua attività giornalistica: «Oggi mi trovo a rivivere lo stesso orrore e preoccupazione per la mia famiglia in Afghanistan», scriveva ieri.
Dice Ahang: «La mia etnia è stata storicamente perseguitata dai Talebani ma oggi l’intero popolo si trova ad affrontare la minaccia di un gruppo che ha da sempre utilizzato la violenza e il terrore per raggiungere i propri scopi politici. Credo che tali gruppi abbiano un nome, eppure così di rado è stato utilizzato per descriverli. Anche in questa nebulosità, ottusità e relativismo vanno ricercati i semi della nostra disfatta. Per anni infatti nei media e nei salotti degli avventurieri occidentali di tutto il mondo i Talebani sono stati ritratti di volta in volta come un’opposizione armata, un gruppo militante antimperialista e così via. Verrebbe da chiedersi quale aspetto dell’imperialismo stessero combattendo i Talebani quando nel 2015 decapitarono Shukria, una bambina Hazara di nove anni che stava viaggiando con la sua famiglia da Ghazni a Kandahar. O quale impero del male stessero affrontando quando hanno preso di mira le donne, le minoranze etniche e religiose. I Talebani sono composti da gruppi diversi, e ancora oggi non è dato sapere se tali gruppi rispondano o meno ad un’unica leadership. Credo che lo scopriremo presto. Ciò che li accomuna è la brutalità ed un estremismo religioso utilizzato a fini politici».
«Ora – prosegue il giornalista – dopo intrighi e tradimenti interni al governo che hanno permesso loro di ottenere il controllo di molte regioni senza dover nemmeno combattere, i Talebani sono dentro la capitale. E a quanto pare gli Stati Uniti hanno concluso un accordo per garantire loro la libera entrata a Kabul in cambio della concessione di terminare l’evacuazione dei pochi fortunati che sono riusciti ad ottenere un passaggio sicuro. I Talebani sono già entrati a Bamiyan, capitale culturale Hazara, ed hanno issato la loro bandiera. Nel 2001 quando entrarono a Bamiyan, i Talebani fecero saltare in aria parte della storia Hazara: gli antichissimi Buddha e bloccarono i rifornimento di viveri sottoponendo la popolazione locale ad una carestia. A Herat invece le donne sono già state mandate a casa dai loro luoghi di lavoro e i professori stanno salutando per un’ultima volta le loro studentesse. Alle donne non sarà più permesso studiare. Alcune ragazze sono state uccise solo per aver indossato dei jeans. Tra poche ore i Talebani otterranno il controllo totale di un Paese che è stato offerto loro su un piatto d’argento da gran parte della comunità internazionale. Una comunità che si è illusa di poter fare accordi con un gruppo che non crede nei più basilari elementi della democrazia, della dignità e dei diritti umani».
La guerra in Afghanistan, la più lunga combattuta dagli italiani, è iniziata il 30 ottobre 2001 e finisce il 15 agosto 2021. È costata 53 vittime e 8,5 miliardi di euro. Il fallimento è di tutta la politica occidentale: oltre 20 anni di scelte sbagliate sempre all’insegna dell’imperialismo da esportare che viene rivenduto come esportazione di democrazia. Ora, vedrete, tra pochi giorni l’Europa fisserà una pomposa riunione per decidere il da farsi. Quell’Europa che tra il 2008 e il 2020 ha rimpatriato più di 70.000 afghani, derisi come “emigranti economici” se non addirittura “fasulli”, quelli che “non scappano da nessuna guerra”. È stato un Ferragosto nero per il mondo. Qualcuno dice che “è solo l’inizio” ma in realtà è l’ennesima puntata di una storia sbagliata.
Buon lunedì.
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