Giovedi 30 settembre, le agenzie di stampa battono la notizia, e che notizia!
Il Tribunale di Locri ha condannato Mimmo Lucano a 13 anni e 2 mesi di reclusione, ritenendolo colpevole di associazione a delinquere, truffa, peculato, concussione, turbativa d’asta, falsità ideologica e abuso d’ufficio. Una condanna che supera quasi il doppio la richiesta dell’ accusa, 7 anni e 11 mesi.
La notizia lascia sconcertati quasi tutti: Lucano è diventato negli anni, con le sue battaglie in terra di ‘ndrangheta, un’icona dell’accoglienza e dell’integrazione, il “modello Riace” qualcosa di straordinario che, solamente chi getta il cuore oltre l’ostacolo può tentare di realizzare, la rivista americana Fortune lo inserisce tra i cinquanta leader più influenti al mondo.
Insomma mentre l’Italia si barcamena in tema di immigrazione con la legge Bossi- Fini, Lucano agisce la concreta possibilità di realizzare i principi della Costituzione in tema di diritti umani.
Lungi da noi il pensiero di discutere la sentenza di cui, doverosamente, dobbiamo aspettare il deposito delle motivazioni, tuttavia qualche osservazione ci sentiamo di farla.
Possiamo definire quello di Lucano un atto di disobbedienza civile; per meglio dire, la sua condotta, volta alla realizzazione di un modello di accoglienza e di integrazione, si potrebbe configurare come una volontà di denuncia dell’ingiustizia rappresentata dalla legge vigente e dalla necessità di supplirvi.
Non sta a noi qualificare giuridicamente i comportamenti di Lucano, quello che possiamo e dobbiamo concorrere a denunciare è il vuoto lasciato dalla politica su questi temi, soprattutto dalle forze politiche di sinistra che dovrebbero sentire come inderogabile il dovere di cambiare le regole e di contrastare realmente, con una prassi politica che abbia come obiettivo la realizzazione dell’essere umano «… sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità…» ( art. 2 Cost), non solo le formazioni politiche nostalgiche del fascismo, ma le derive sovraniste, razziste, populiste, xenofobe che pericolosamente avanzano ed i cui postulati rischiano di tradursi in leggi.
Lo strumento legislativo, traduce in norme le istanze sociali e culturali, ed è soprattutto su quest’ultimo aspetto che bisogna insistere.
Occorre una coraggiosa inversione di rotta del pensiero cosiddetto di sinistra.
Non c’è più tempo!
I principi di uguaglianza e di solidarietà non sono generose concessioni che alcuni uomini elargiscono ad altri!
Sono valori e principi consustanziali ad essi, e si poggiano sulla consapevolezza di una assoluta uguaglianza di tutti gli esseri umani che si realizza nel momento della nascita biologica, perché la capacità di immaginare, il pensiero irrazionale, caratteristica che distingue l’uomo da tutte le altre specie viventi, nasce dalla biologia allo stesso modo in tutti.
Se la sinistra non acquisisce questo principio di fondo, che opera da spartiacque tra ciò che è umano e ciò che non lo è, potrà difficilmente concorrere a realizzare concretamente norme da cui emergono i valori di cui storicamente è portatrice.
Forse se la sinistra avesse fatto sentire con forza ed identità la sua presenza, la sua voce, la sua vicinanza ad un popolo smarrito in un momento storico come quello che stiamo vivendo, non avremmo assistito attoniti, sabato 9 ottobre, ad una marcia su Roma in pectore!
Forse se Lucano avesse avuto a disposizione leggi con cui poteva realizzare un sogno di uguaglianza e giustizia sociale non avrebbe infranto la legge.
Se diamo uno sguardo al passato anche recente del nostro Paese, possiamo accomunare al nome di Mimmo Lucano, quello di due disobbedienti civili che con i loro comportamenti hanno fatto da sprone a cambiamenti di normative assurde e contrarie alla Costituzione: Danilo Dolci e, di recente Marco Cappato.
Anche loro tratti in giudizio e processati, per motivi ovviamente diversi, ma accomunati dall’esigenza di realizzare un ideale giusto, incompatibile con le norme in vigore.
Si potrebbe obbiettare che non indossavano la veste di pubblico ufficiale, ma questo, forse, è secondario quando la spinta motivazionale di giustizia è cosi pressante.
Dall’arringa che Piero Calamandrei tenne il 30 marzo 1956 davanti al tribunale di Palermo in difesa di Danilo Dolci:
«… Anche oggi l’Italia vive uno di questi periodi di trapasso, nei quali la funzione dei giudici, meglio di quella di difendere una legalità decrepita, è quella di creare gradualmente la nuova legalità promessa dalla Costituzione… Vorrei, signori giudici, che voi sentiste con quale ansia migliaia di persone in tutta Italia attendono che voi decidiate con giustizia, che vuol dire con indipendenza e con orgoglio questa causa eccezionale:e che la vostra sia una sentenza che apra il cuore alla speranza, non una sentenza che ribadisca la disperazione».
L’autrice: Concetta Guarino è avvocato e coautrice del libro “Bambini vittime” (Liguori ed .)
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