Chi in questi anni ha seguito il dibattito sui temi energetici non aveva dubbi: al primo rialzo di gas ed elettricità ci avrebbero di certo riprovato. A dare la colpa del caro bollette alle rinnovabili, ovviamente, e alla transizione ecologica. Come avvenne nel 1998, quando il primo tentativo di carbon tax, voluto dal ministro verde Edoardo “Edo” Ronchi, che funzionava applicando un’imposta di duemila miliardi annui delle vecchie lire ai produttori di combustibili fossili, e assicurando uno sgravio di pari importo sul costo del lavoro, fu stroncato alla prima oscillazione dei costi petroliferi.
Ma stavolta siamo nel 2021, il dibattito pubblico e la consapevolezza – per fortuna – almeno un po’ sono andati avanti, e, anche se il tentativo c’è sicuramente stato, per l’ennesima volta, di usare il rialzo del prezzo del gas per dare un nuovo stop alle energie pulite, stavolta è stato sonoramente rispedito al mittente. No, hanno risposto in coro, l’Agenzia internazionale dell’energia, l’Unione Europea, persino Francesco Starace, l’ad di Enel, la colpa non è della transizione ecologica, o degli incentivi che si pagano in bolletta per le energie rinnovabili: al contrario, la colpa è del fatto che siamo ancora troppo legati al fossile, e che non abbiamo abbastanza energie pulite nel nostro mix elettrico.
Non stiamo pagando la transizione ecologica, stiamo pagando il non averla ancora fatta.
E stiamo anche pagando, senza averli mai diminuiti neppure di un centesimo, nonostante le promesse di questo e dei passati governi, dai 20 ai 35 miliardi di euro annui di incentivi alle fonti fossili: soldi che non vediamo in bolletta, come quelli per le rinnovabili, ma che pesano comunque sulla nostra dichiarazione dei redditi, essendo a carico della fiscalità generale.
La soluzione quindi non è pagare di meno il gas, abbassandone l’Iva al 5%, come ha fatto con lesta operazione demagogica il governo Draghi, ma…
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