Descrivere ciò che vedo ogni giorno al confine tra Bielorussia e Polonia non è facile. È una situazione agghiacciante, sia per i numeri che per le condizioni in cui sono costrette le persone. È la peggior frontiera che io abbia visto. Parliamo di circa 3-4mila profughi intrappolati in un lembo di terra di pochi km in mezzo ai boschi, a cui se ne aggiungeranno presto altre migliaia ripresi pochi giorni fa in un video mentre si incamminavano verso la frontiera. La stima è di 10mila migranti dalla parte bielorussa.
Costoro sono arrivati in Bielorussia tramite un visto. Cioè sono partiti dall’aeroporto del loro Paese di origine e atterrati a Minsk, convinti, sulla base di informazioni erronee, che poi da qui sarebbe stato semplice raggiungere la Polonia con mezzi privati. Questa almeno è la spiegazione (spesso corredata dai loro biglietti aerei) che la maggior parte di queste persone ci dà.
Il fatto che viaggino con un visto regolare significa che non sono assolutamente preparate a ritrovarsi in queste condizioni e a fronteggiare le avversità, a differenza ad esempio di coloro che intraprendono la rotta balcanica, i quali, ben consapevoli di ciò che dovranno affrontare, si muniscono di abbigliamento idoneo, gps, mappe offline e altre informazioni, quali ad esempio come sopravvivere tra le foreste in inverno, o su quali punti delle montagne o dei fiumi sia meglio attraversare. Qui purtroppo non è stato così, e tutti hanno iniziato a rendersi conto del pericolo che stavano correndo man mano il confine bielorusso-polacco faceva più vicino e continuavano ad ammassarsi. Così è cominciata questa nuova, tragica, crisi umanitaria.
Da giorni ormai i migranti vengono fatti rimbalzare con violenza tra i militari bielorussi, che spingono la gente con la forza verso il confine polacco, e la guardia di frontiera polacca che li respinge di nuovo verso la Bielorussia. I pushback sono violenti e vengono fatti a spintoni, calci, usando i cani e i manganelli elettrici su persone che indossano indumenti zuppi. Uomini, donne, intere famiglie, molte delle quali con bambini piccoli, non mangiano e non bevono da giorni. Le madri non hanno più latte per i neonati. I vestiti sono umidi e non isolano più mentre la temperatura scende sotto lo zero già da un paio di settimane. Numerosi sono i casi di ipotermia, nove i morti ufficiali (ma si teme che il numero sia molto maggiore e soprattutto in continuo aumento).
Ogni tanto dal lato bielorusso si son visti arrivare furgoni con alimenti e serbatoi di acqua portati dalle autorità di Minsk per spingere la gente a restare nelle zone di frontiera e non tornare nella capitale, per poterla usare come pedina di scambio “politico” e obbligare l’Europa a togliere le sanzioni contro la Bielorussia. Questa “novità” riguarda solo il grande gruppo di rifugiati ammassato al valico di frontiera. Ce ne sono poi altri rimasti bloccati tra i fili spinati stesi tra i due Paesi in altre zone del confine. Questi sono senza cibo e senza acqua, senza cure e senza coperte e noi stiamo cercando di fare arrivare loro qualcosa per aiutarli.
In tutto questo, dalla parte polacca, la polizia di frontiera non distribuisce acqua né cibo, nulla, solo qualche volta arriva qualche soccorso – spesso troppo tardi – quando qualcuno è in procinto di morire. Dalla parte polacca agiscono volontari locali che lavorano in condizioni abbastanza difficili, mentre in Bielorussia le Ong sono vietate e il lavoro dei volontari è considerato un crimine.
Dal canto nostro non aiutiamo la gente ad attraversare la frontiera, non è questo il nostro scopo. Aiutiamo le persone dove si trovano. Noi cerchiamo di aiutare e salvare la vita a chi è bloccato senza cibo, senza coperte e senza acqua: come detto ci sono persone malate e ci sono molti bambini e donne. Arriviamo quando possibile nei pressi delle coordinate che ci hanno inviato, consegniamo gli aiuti e il cibo affinché chi è in difficoltà possa usufruirne, e andiamo via. Mi arrivano tutti i giorni richieste di aiuto da migranti che si trovano dalla parte polacca; usano il mio…
*L’autrice del reportage dal confine polacco-bielorusso: Nawal Soufi è assistente sociale e attivista per i diritti umani
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