L’idea del voucher per la psicoterapia, sebbene risponda a esigenze reali, rappresenta un’inefficace risposta. E favorisce processi di privatizzazione. Devono essere in primis le strutture pubbliche a garantire il diritto universale alla salute mentale

Nulla di nuovo all’orizzonte nonostante la pandemia, ci verrebbe da dire in riferimento all’acceso dibattito che si sta consumando in questi giorni sul cosiddetto “Bonus psicologo”, perché in realtà la discussione va collocata nel contesto più ampio delle sterili politiche di sostegno al welfare degli ultimi trent’anni che oggi non mostrano in alcun modo segnali di cambiamento. L’argomento non può essere affrontato in modo riduzionistico cercando soltanto vantaggi e svantaggi, effetti positivi e negativi del provvedimento, perché sarebbe una semplificazione di un tema che in realtà investe, anche in considerazione del grande interesse che ha suscitato, temi politici, economici, culturali e, oserei dire, antropologici.

La salute delle persone intesa secondo la definizione dell’Oms come «stato di benessere dinamico bio-psico-sociale, condizionato da fattori determinanti strutturali della società: relazioni familiari e sociali, istruzione, formazione, lavoro, ricerca, infrastrutture, ambiente» – a cui noi aggiungiamo economia, politica e cultura – apre orizzonti di riflessione molto ampi, che interessano la vita dell’uomo ed il suo sviluppo dalla nascita fino alla morte. Le politiche economiche degli ultimi anni che hanno condizionato le nostre esistenze in effetti sono state ispirate dalle logiche pervasive del mercato esprimendosi, sulle persone e sulla loro salute, in termini di medicalizzazione della vita, di erogazione di prestazioni, di spesa e profitto.

«Il processo di globalizzazione se da un lato ci ha aperto mondi fino ad ora sconosciuti, dall’altro ha cambiato la nostra antropologia in conseguenza proprio dell’impatto delle logiche economico-finanziarie su tutti gli aspetti della nostra vita, compresi quelli del welfare e della salute minacciati dalla pervasività del mercato e trasformati in privilegio individuale, in costi per prestazioni di consumo che, pertanto, possono vendersi e/o comprarsi», questo abbiamo scritto nella presentazione della piattaforma programmatica “La salute che vogliamo”, realizzata dalla nostra organizzazione (Fp Cgil medici e dirigenti Ssn, ndr).

In tale contesto le politiche di welfare, negli anni, hanno smarrito via via la vocazione di provvedimenti strutturali e strutturanti la società e le persone. Sono state interpretate non come un investimento che favorisse lo sviluppo sociale e quindi economico del Paese, ma come una voce di spesa da controllare e se possibile ridurre o tagliare. I bonus, siano essi per la famiglia, per la scuola, per il sostegno al reddito o per la salute, assumono così il significato di concessioni in cui si perde il senso di un diritto da una parte e di un valore dall’altro. Il cd. “Bonus psicologo”, in…

*L’autore: Andrea Filippi è psichiatra e segretario nazionale Fp-Cgil medici e dirigenti Ssn


L’articolo prosegue su Left del 28 gennaio 2022 

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