Con la scelta di aderire alla Nato, Finlandia e Svezia gettano alle ortiche una lunga storia di non allineamento. E aggravano un’escalation militare già prossima al punto di non ritorno. Così si consuma la definitiva omologazione del “modello nordico” a quello occidentale

Il 12 maggio il presidente della Repubblica, Sauli Niinistö, e la prima ministra socialdemocratica, Sanna Marin, hanno ufficializzato l’intenzione della Finlandia di aderire alla Nato, seguiti a ruota (il 15 maggio) dai socialdemocratici svedesi, a loro volta al governo di Stoccolma. La comune motivazione è che, alla luce del sovvertimento globale innescato dalla guerra in Ucraina, solo il Trattato atlantico, in particolare l’articolo 5, assicurerebbe la difesa dei due Paesi (uno dei quali, la Finlandia, condivide oltre mille chilometri di confine con la Russia); peraltro, già oggi essi godono dello status di Partner Nato con opportunità potenziate. Le garanzie militari offerte dalla clausola 42 del Trattato sull’Unione europea sono ritenute insufficienti.

Per comprendere la portata storica del riposizionamento finlandese, occorre ricordare che per tutto il dopoguerra lo Stato nordico si è attenuto, nella sua politica estera, a un equilibrio non sempre facile da mantenere, ma che ha dato ottimi risultati. Se per un verso Helsinki ha evitato condotte che potessero mettere in crisi i buoni rapporti con l’Unione sovietica prima, e con la Russia poi, per un altro verso ha sempre badato a rintuzzare qualsiasi tentativo di ingerenza da parte dell’ingombrante vicino (anche dotandosi di un esercito ben equipaggiato e addestrato). La “dottrina Paasikivi-Kekkonen”, dal nome dei due presidenti della Repubblica che ne sono stati gli artefici, ha permesso alla Finlandia, Paese capitalista e liberaldemocratico, di svolgere per decenni una funzione di raccordo tra Est e Ovest. Dopo l’annessione russa della Crimea nel 2014, è vero che Helsinki ha intensificato la cooperazione militare con gli altri Paesi nordici e con gli Stati Uniti, ma al contempo il neutralismo ha continuato a ispirare il dibattito sulle relazioni russo-finniche.

Quanto alla Svezia, a partire dagli anni Sessanta è passata da una politica estera sostanzialmente isolazionistica a un…

 

* L’autrice: Monica Quirico è storica della politica e della società svedese e nordica. È honorary research fellow dell’Istituto di Storia contemporanea della Södertörn University di Stoccolma

L’articolo prosegue su Left del 20 maggio 2022 

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