Circa 600 medici dell’emergenza e urgenza da gennaio a oggi hanno deciso di dimettersi dai pronto soccorso in cui prestavano servizio. La Società italiana di medicina d’emergenza-urgenza (Simeu) ha calcolato che di questo passo ci saranno 5mila unità in meno entro la fine del 2022. Uno scenario davvero preoccupante considerando che già ora in Italia mancano 4.200 tra medici e personale infermieristico da impiegare nei pronto soccorso. Come riportano le agenzie, la situazione più grave si è verificata negli ultimi giorni al Cardarelli di Napoli e al San Camillo di Roma, con pazienti abbandonati sulle barelle nei corridoi in attesa di essere visitati. Ma, sempre restando nella Capitale, anche il Sant’Andrea, l’Umberto I, il Gemelli, il Pertini e il San Giovanni lamentano difficoltà e non dissimile è la situazione nel resto d’Italia. Strutture inadeguate, aumento di accessi di cittadini con traumatologia minore o con problemi di carattere sociale, infortuni sul lavoro o stradali non gravi sono tra i fattori che determinano il sovraffollamento. Una situazione che è esplosa con l’attenuarsi della morsa pandemica ma che affonda le sue radici lontano nel tempo, ben prima che il Covid-19 entrasse di prepotenza nelle nostre vite. Quali le cause e quali le possibili soluzioni? Ne parliamo con Andrea Filippi, medico psichiatra e segretario nazionale Fp Cgil medici e dirigenti Ssn.
Da cosa dipende questa situazione allarmante nei pronto soccorso?
C’è stato sicuramente un errore di programmazione dei contratti di formazione specialistica. Ostinatamente, fino al 2018, sono stati tenuti fermi a 6.800 nuove unità annue e una pandemia, non il ministro, ha fatto capire che di posti strutturali/anno ne servivano almeno 13mila. Cioè quasi il doppio. Solo che per formare i medici ci vogliono 5 anni, quindi adesso siamo drammaticamente in ritardo e i medici non ci sono.
E quelli che ci sono, a quanto pare, se ne vogliono andare…
Un’organizzazione dei servizi incentrata tutta sull’ospedale crea un…
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